Freudlab: Febbraio 2007 Archives

25.02.07

LO PSICANALISTA NELLA CITTÀ

Conferenza tenuta il 23 giugno 2006 presso la Casa della Cultura a Milano in occasione della presentazione del libro di
Jean-Paul Hiltenbrand: “ Insatisfaction dans le lien social” Eres 2006. Nel quadro delle attività dell’Associazione lacaniana a Milano e del Laboratorio Freudiano per la formazione degli psicoterapeuti.

Si può scaricare la trascrizione in formato pdf da qui

Jean-Paul HILTENBRAND

J.P. Hiltenbrand:

Il titolo che Marisa Fiumanò ha dato alla mia conferenza di stasera è molto simpatico ma anche molto ambizioso. Partirò da un quadro generale. Siamo in un momento della civiltà, in cui dovunque ci voltiamo incontriamo il progresso, cioè non siamo più alienati alle autorità, al principio autoritario, la rimozione sessuale si è notevolmente attenuata, viviamo in un confort straordinario, le nostre democrazie sono giunte a una stabilità veramente rimarchevole in confronto agli altri regimi politici della storia. Inoltre viviamo in una cornice di protezione sociale, protezione multipla, sicurezza multipla. Se siete d’accordo con questo quadro, il paradosso è che al livello individuale assistiamo a depressioni, a rafforzamenti dell’angoscia, all’apparizione dell’inquietudine davanti al futuro, alla “fatica di essere se stessi”, alla mancanza di energia, di dinamismo nella nostra contemporaneità, e ciò che constatiamo clinicamente è un’apatia del desiderio. Sul piano generale, la maggior parte de nostri colleghi è d’accordo nel constatare il declino dei Nomi-del-Padre, declino della funzione paterna, declino del simbolico, declino dell’istituzione, cioè dello stato, della patria, della scuola. Constatiamo anche l’allentamento del legame sociale con l’impressione che ognuno corra dietro un progetto egoista, personale, senza occuparsi degli altri. Constatiamo una diminuzione della solidarietà tra gli individui e un isolamento sempre maggiore dei nostri contemporanei. Questa constatazione, questi paradossi, da un lato il progresso e dall’altro il declino di un certo numero di caratteristiche delle nostre società, ci obbligano a porci la domanda: che cosa accade? Qual è l’origine di questo nuovo malessere nella civiltà? Che cosa sanno gli psicanalisti o che ce ne possono dire? La nostra risposta è semplicissima: l’uomo è un “parlessere”, è organizzato non da avvenimenti e da un mondo di oggetti (il mondo che ci presentano i media): quest’uomo è organizzato da significanti e da discorsi. E come ha evocato poco fa Maria Teresa Maiocchi, Lacan quarant’anni fa ne ha identificati quattro o cinque e adesso si pone la questione di sapere se queste strutture che egli ha messo a punto sono sempre pertinenti o se è successo qualcosa tra questi discorsi che ci obbliga a considerare diversamente le cose. Questo termine, discorso della modernità, è una tautologia e siamo obbligati a tentare di trovarne gli assi portanti sia nelle nostre società che presso gli individui che sono sui nostri divani.

Se mi permettete, farò un piccolo percorso storico. La nostra cultura è stata dominata per una ventina di secoli da un discorso che si chiama il “discorso del maître”. In ogni caso capirete cos’è quando vi dirò che le nostre organizzazioni politiche nel corso di venti secoli, da Platone in poi, sono state strutturate intorno a un concetto che Aristotele ha molto trattato nella sua opera, ciò che noi chiamiamo “Sommo Bene” e che Aristotele ha anche chiamato “il primo motore immobile”. Questo discorso animato da questo significante-maître strutturava il pensiero teologico-politico da Platone fino a quasi il XVI-XVII secolo. Era dunque il regno del Sommo Bene. Questo discorso non ha più il suo primato. Ho inserito nel mio libro l’esempio di quel rivoluzionario che si chiamava Saint-Just e che era uno dei responsabili del governo del Terrore nel periodo della Rivoluzione francese, e che ha voluto reintrodurre il concetto di Sommo Bene sotto il termine di patria, di nazione. Così Saint-Just ha organizzato il terrore a partire da questo concetto e questo gli è costato la vita perché da due o tre secoli il concetto di Sommo Bene non aveva più corso. Ciò che fino a ieri legittimava la teologia e la politica ha perso il suo primato; oggi siamo obbligati a porci la domanda: in che tipo di discorso siamo condotti a vivere? La mia personale risposta è che la difficoltà sopraggiunge da quando siamo praticamente al culmine dello sviluppo della scienza. Già nel 1945, in una conferenza alla BBC, Bertrand Russell poteva dire che tutto ciò che ci capita di bene e tutto ciò che ci capita di male sul piano individuale come su quello sociale, dobbiamo attribuirlo alla scienza. Un altro filosofo tedesco degli anni 50, Schersky (anche analista delle questioni sociali), faceva notare che la scienza era arrivata al punto che le decisioni dei responsabili degli Stati non erano più guidate da un’idea politica o da un’idea filosofica ma da obblighi di tipo scientifico.

La scienza è una scrittura come una formula matematica mentre il sociale resta sempre un discorso. La scienza oggi è al suo apogeo e certo praticamente al suo punto di stasi; tutti i grandi scienziati lo fanno notare: ciò che avviene nei laboratori non è più scienza, è ricerca tecnologica cioè applicazioni a partire dalla scienza, e queste applicazioni tecnologiche permettono di trovare il denaro per nutrire i laboratori. A differenza della scienza, la tecnoscienza è un discorso e noi lo notiamo per es. nella medicina che è invasa dalla tecnoscienza ma ugualmente dal discorso che si chiama tecnoeconomico. Come voi sapete, nella maggior parte delle nostre democrazie il discorso tecnoeconomico ha rimpiazzato il discorso politico. I governi di destra o di sinistra si raccomandano sempre alla scienza economica, alla tecnoeconomia per prendere una decisione. Vediamo la nostra cultura invasa dalle tecnoscienze, e queste tecnoscienze hanno ormai rimpiazzato il Sommo Bene dell’organizzazione teologico-politica precedente. Se accettate quest’analisi storica comprenderete il seguito. Siamo dinnanzi a un corpus di saperi in considerevole espansione. Quindici giorni fa in una riunione di scrittori, si faceva notare che in Francia si pubblicavano 65000 libri l’anno! Il libro è un sapere per eccellenza. Ma questi saperi hanno un carattere eteroclito. Faccio l’esempio dei nostri ragazzi attualmente sommersi di conoscenze tecnologiche, tecniche, ma sempre più inadeguati sul piano delle relazioni umane. Ecco un tratto del tutto conosciuto, riconosciuto dagli insegnanti, da tutti coloro che hanno delle responsabilità nei confronti dei ragazzi. Un altro esempio, che traggo dagli studi di medicina in Francia: oggi si è obbligati ad insegnare agli studenti in medicina come si parla ai malati!

Si capisce bene che le difficoltà appaiano da ogni parte, e che in diversi settori, quello medico ma anche quello amministrativo, gli impiegati o i responsabili sono obbligati ad apprendere delle procedure in cui s’inscrivono protocolli di qualità, dove è inclusa, appunto, la relazione sociale ma sotto forma di protocollo. Vale a dire che noi non siamo più nell’arte della conversazione. Siamo passati insensibilmente da un’era teologico-politica e di Sommo Bene a un sistema che, nelle nostre democrazie, si trova sotto il tiro della scienza, e possiamo dire che la svolta – è un po’ artificiale rispetto al senso storico – è stata avviata da una parte da Galileo per le scienze, e da Machiavelli sul piano politico e riguardo la direzione dello Stato. Si è visto di colpo apparire un sistema, un corpus che si voleva scientifico e razionale. Ebbene, allo stesso modo siamo passati da un’era della sessualità sotto l’egida del desiderio a un’era che si chiamerà dell’erotismo e dell’edonismo. Non c’è più principio d’autorità, né capi religiosi che siano riconosciuti, né capi politici; e questo perché la scienza può dare una risposta a tutti i problemi sociali. Altrettanto bene lo si può vedere in certe democrazie dove il presidente può essere un ex attore di cinema o un saltimbanco dell’immagine e dei media senza che ciò sia nocivo per la direzione del paese poiché le decisioni sono prese da una tecnocrazia scientifica, vale a dire che i nostri apparati di maggior responsabilità sono essi stessi sottomessi alla tecnoscienza.

Torniamo adesso alla struttura soggettiva e diamone una definizione: un soggetto è qualcuno che è in relazione con l’Altro, questo grande Altro che è il depositario della causa del desiderio. Per esempio, attualmente a Grenoble stiamo organizzando un convegno sulla ricerca di identità: che cosa è accaduto nel nostro sociale perché ci sia questa ricerca di identità che vediamo apparire in tutti i ceti sociali, in tutti i paesi, come un sorgere generalizzato? E’ perché il discorso della tecnoscienza non ha solamente soppresso il posto del soggetto ma ha insieme anche abolito il luogo dell’Altro al punto che quando, per esempio, c’è una difficoltà o si pone una questione, non si avanza più l’ipotesi dell’inconscio ma si domanda alla scienza di trovare una risposta. Non c’è più dunque l’Altro simbolico. A partire da quel momento, poiché c’era sempre l’Altro che ci dava la nostra identità, a partire dal momento in cui quest’Altro è scomparso, sorge l’angosciante questione di ciò che sono. Se non c’è più Altro, sorge una nuova domanda: che cos’è un soggetto senza trascendenza? Prima la trascendenza era assicurata dal sistema teologico. Non c’era bisogno di credere in Dio, non era questo l’importante. L’importante è che c’era un luogo organizzatore della nostra società che era esterno a questa società e che si situava in un sistema di anteriorità rispetto alla nostra società, vale a dire che questa garanzia la trovavo perché era installata da sempre. Il re, o il presidente della Repubblica, non era in verità il rappresentante del popolo, era il rappresentante di questo principio di esteriorità anteriore, trascendente, che assicurava la coesione sociale. E’ quello che noi chiamiamo, nell’analisi, il luogo dell’Altro, che assicura contemporaneamente il luogo simbolico e il legame dinamico che garantisce che non sono in una relazione immaginaria sistematica con i miei contemporanei. Il discorso tecnoscientifico elimina questa referenza e credo che il caso più notevole sia quello delle Procreazioni Medicalmente Assistite, tema sul quale Marisa ha già organizzato un convegno qui a Milano. Prima l’arrivo di un bambino era una benedizione da parte di un’istanza terza, che fosse divina o magica poco importa. Non esistendo più questo luogo la PMA faceva la sua comparsa nel discorso tecnoscientifico come qualcosa che costituisce una riuscita tecnologica che interviene al posto della benedizione e che la rimpiazza. Il discorso tecnoscientifico ha la proprietà di sopprimere quel luogo di referenza trascendente che è l’Altro. D’altra parte, come questo discorso provenga dalla scienza e la scienza, per potersi sviluppare, abbia preliminarmente soppresso il soggetto – ve lo illustrerò semplicemente attraverso il fatto che una formula matematica deve essere scritta nell’ordine logico della matematica. Non è necessario interrogarsi sul senso, è addirittura nocivo per la scienza che il soggetto vi si addentri con i suoi interrogativi. Tutti i sistemi di comando automatici, cibernetici o meccanici sono previsti proprio per escludere il soggetto con il suo capriccio o i suoi difetti. Il discorso tecnoscientifico ha dunque questa proprietà di sopprimere il soggetto e di abolire l’Altro come luogo dell’inconscio.

Se noi torniamo ora alla questione dei saperi, il sapere di un soggetto è un sapere che è improprio. Ciò vuol dire che è un sapere male organizzato, un sapere in cui ci sono dei vuoti, è un sapere maldestro, disabile, è il sapere che caratterizza l’essere umano e in particolare colui che esige la relazione con il suo simile. Questo sapere noi lo chiamiamo sapere inconscio, ed è nei luoghi beanti di questo sapere che si colloca la funzione del soggetto. C’è soggetto nella misura in cui in questo sapere esiste una beanza. Ora il progetto della scienza – e lo vedete con le tecniche terapeutiche moderne come per es. le tecniche comportamentali – mira precisamente a organizzare questo sapere in modo di non aver più a che fare con il sapere non saputo del soggetto. Quelle che si chiamano in Francia le T.T.C., cioè le tecniche comportamentali, hanno la proprietà di poter regolare un problema o una difficoltà attraverso una pura logica di procedura o di protocollo come se si trattasse di una scienza o di una tecnoscienza. Constatiamo dunque che questa beanza nel sapere tende a ridursi sempre più a causa del lavoro della scienza. E perché no? Se ne può benissimo dedurre che ciò ridurrà anche le nostre possibilità di lavoro filosofico, metafisico, morale, perché in questo sistema, la morale non esiste più nel senso proprio del termine: può sorgere in seguito ma non nel corso della procedura poiché questa procedura non comporta alcun interrogativo. Ed ecco, ritornerò alla medicina. Attualmente in medicina per un gran numero di malattie esistono procedure tecniche. Per es., di fronte a un cancro al seno, bisogna procedere in quella precisa maniera. Il medico, una volta fatta la diagnosi, deve seguire quella tal procedura, quel tal protocollo terapeutico, e gli è severamente proibito porsi un problema etico perché se avanza un problema etico ciò provoca una rottura nel protocollo terapeutico. Ecco dunque un esempio che mostra bene che il discorso tecnoscientifico non può essere affiancato da nessun interrogativo etico al livello del medico che esercita.

Dunque, per fermarmi qui, che cosa ci viene a fare la psicanalisi in tutto ciò? Dopo queste considerazioni, questa specie di esplorazione che ho fatto sulla situazione attuale, per quanto mi riguarda non sono del tutto pessimista perché una situazione simile l’abbiamo già incontrata nella nostra storia. E’ esattamente il momento in cui è sorto il grande periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento.

La psicanalisi consiste semplicemente nel dare la parola al nostro paziente per rifare posto a un soggetto e all’Altro inconscio, nella loro relazione reciproca in cui il soggetto si manifesta appunto attraverso questo sapere inconscio, sapere inconscio che come noi sappiamo non è senza beanza. Ed è quel soggetto del sapere che Freud aveva identificato agli inizi della psicanalisi in quanto è proprio al livello della relazione sessuale, al livello della relazione sessuata all’Altro e nello statuto erotico del soggetto che si manifestava il più chiaramente possibile questa mancanza di sapere. Ora, nonostante il progresso, come ve l’ho descritto, nonostante questo immenso progresso, l’uomo resta sempre un essere maldestro, specialmente al livello del sapere sul sesso.

Domanda non udibile


J.P.H.: Sì, è proprio così! La tecnoscienza provoca questa eliminazione della soggettività umana, ciò che Lei chiama il carattere. Credo che per es. il rapporto che noi constatiamo dei giovani con il cellulare è una parziale manifestazione di questa auto-eliminazione, ciò che noi chiamiamo una abolizione soggettiva.


Domanda non udibile


J.P.H.: Tenterò di dirlo brevemente. C’è un’opposizione clinica caratteristica che è quella della situazione di godimento e quella della posizione di desiderio. Per fare un esempio semplicissimo e che non è affatto una critica cattiva, il legame del matrimonio è l’istituzione di una modalità di godimento di cui sappiamo tutti, e tutti noi osserviamo nella nostra esperienza clinica che è a detrimento del desiderio. Questa opposizione che esiste tra desiderio e godimento e che ha attraversato ogni nostra civiltà caratterizza due tratti della soggettività umana: quella che è organizzata da ciò che si chiama il fallo, cioè da questo significante-maître della sessualità che Freud aveva individuato sotto il termine “complesso di castrazione” e che concerne in proprio la dimensione del desiderio, ma, aggiungo, non solo nel campo del sessuale. L’altro versante, cioè quello del godimento, del godimento oggettuale, è l’altro versante della soggettività che preferisce godere di un oggetto. Capita ora che con l’evoluzione della nostra cultura, lo sviluppo della scienza e delle nostre possibilità industriali, la nostra contemporaneità è sommersa da oggetti, oggetti di godimento, oggetti da godere facilmente; se c’è qualcosa che caratterizza oggi la nostra cultura, è che praticamente tutti i godimenti sono alla nostra portata e penso che la tossicomania si inscriva in questa logica ed è quella la dimensione edonista della nostra cultura, la dimensione e la nostra evoluzione, l’evoluzione edonista. Pensate che se, due o tre secoli fa, aveste avuto una proprietà a trenta chilometri da Milano, vi sarebbe occorsa un’intera giornata per andarci. Oggi, senza ingorghi di traffico, vi basta un quarto d’ora, cioè è semplicemente il tempo di accesso al godimento che si è accorciato e le possibilità di accesso a questi godimenti si sono moltiplicate. E ciò fa sì che senza alcuna intenzione, buona, cattiva o come volete, siete inseriti in un sistema che permette che il godimento sia a portata di mano continuamente.


Domanda non udibile.


J.P.H.: Come sapete c’è un’espressione in francese che dice: “Non si ferma il progresso”. Non è l’errore della politica che ha permesso lo sviluppo della scienza, è proprio l’inverso. Il politico è sempre stato il complice per una ragione molto semplice, una ragione che Kant aveva già descritto, e cioè che la scienza permetteva di sviluppare armi molto più distruttive. Per Kant si trattava del solo progresso che era stato apportato dal tempo dei Romani. Il politico si è sempre mostrato complice, e vedete i budgets che gli Stati Uniti davano alle ditte della Nasa e ad altre, che erano budgets di guerra, gli enormi budgets che aveva dato l’URSS ai laboratori che avevano fini militari. In tutti i sistemi in cui c’era del denaro, dei mezzi, il politico si è sempre appoggiato sulla scienza.


Domanda: Se la scienza prende il posto del grande Altro come si può imparare la competenza sociale?


J.P.H.: I popoli che si sono organizzati da tempo immemorabile, si sono organizzati a partire da questa istanza Altra, sul piano religioso, magico o dei legami materiali. E’ soprattutto questo luogo Altro che era organizzatore. Se voi interrogate, per es., la ragione per la quale due individui stabiliscono insieme un legame, non troverete mai una spiegazione finale; ciò può spiegarsi in molti modi, tendenze, simpatie, interessi ecc., ma, in effetti, è l’Altro che organizza il legame tra due individui, che fa che oggi, questa sera noi siamo riuniti qui. Quest’Altro possiamo chiamarlo Lacan, Freud, per dargli un nome ma è un luogo concettuale che è organizzatore di qualcosa. Ciò che noi facciamo stasera è un tipo di legame sociale a cui Lacan ha dato come nome “il discorso analitico”. Ogni assemblea umana è organizzata da un certo luogo. Il discorso tecnico-scientifico non organizza luoghi, non organizza assemblee sia pur di appassionati e di addetti alle tecnoscienze, e inoltre anche questa tecnoscienza non può organizzare uno Stato. Essa può dare una legittimità a una decisione politica ma non è organizzatrice – per es.- della democrazia. Al contrario, è facile mostrare a partire dalla tecnoscienza che la democrazia sarebbe inutile dal momento che tutte le decisioni sono tecniche; e quando, negli Stati Uniti, si preconizza “meno Stato” è a causa della tecnoscienza che si può dire meno Stato. Capite perfettamente come la dimensione politica sia eliminata.


Domanda:Penso di essere più pessimista di Lei perché la perdita del soggetto vuol dire perdita di conoscenza dell’ambiente nel quale…


J.P.H: Si può effettivamente essere più pessimisti di me. Ma il soggetto riappare. Ho ricordato poco fa all’inizio del mio intervento questa recrudescenza di sintomi, di angoscia, di inquietudine, di depressione ma qui si tratta del soggetto che soffre nel discorso della tecnoscienza e per questo riappare con la sua sofferenza, ha il diritto di riapparire.


Domanda: …lo spazio-tempo è distrutto?


J.P.H: No, la nozione di spazio e di tempo soggettivo sono tempi variabili.


Domanda: Perché la scienza non é un discorso?


J.P.H.: La scienza non è un discorso, è una scrittura. Tenterò di spiegare cosa accade. Quando Galileo ha fatto la sua scoperta, egli ha fatto la seguente operazione: ha scritto sulla caduta dei corpi un rapporto tempo/spazio. Questa formula che ha scritto, doveva rendere conto del movimento del corpo senza che vi sia necessario – a partire dal momento in cui avete la formula – riflettere o tentare di comprendere. Ecco per definizione l’operazione di una creazione scientifica, e le autorità religiose che erano ben lungi dall’essere idiote all’epoca, hanno molto ben compreso la minaccia contenuta non nella formula ma in quell’operazione di scrittura. Infatti quella formula scritta sfuggirebbe ormai ai capricci di un Dio: essa è scritta e lo stesso Dio non può pensarla diversamente. E a partire dal momento in cui quella formula è scritta, potete dire qualsiasi sciocchezza su tale formula, quella formula è scritta e resterà vera ulteriormente. E’ qui che distinguete facilmente sulla base di questo esempio storico ciò che c’è di diverso tra una scrittura e un discorso. Una donna per esempio, ingaggiata in una procedura di fecondazione artificiale medicalmente assistita, sarà sottoposta a penose esperienze soggettive, a degli esami ecc, le parole degli specialisti che l’avvicineranno per fare la fecondazione ecc. Questi discorsi sono legittimati da una tecnica, ma la tecnica di per sé é silenziosa. Sono i medici che fanno commenti su queste tecniche, dunque è un discorso che appare, che si innesta sui commenti delle “buone donne” – se mi perdonate quest’espressione – su ciò che dicono le comari che circondano la fecondazione e la nascita del bambino; ma non si parlerà nello stesso modo di un bambino nato dal caso di un rapporto sessuale e di un bambino nato da una procedura estremamente rigorosa in un laboratorio. E’ un fatto di discorso.


Domanda non udibile: (…Da una parte, la tecnologia è il luogo di sviluppo della pulsione, dall’altra il soggetto…)


J.P.H.: Voglio fare due notazioni a proposito di ciò che ho capito del Suo intervento. Innanzitutto, mantengo la mia tesi del discorso tecnoscientifico ma ciò che bisogna anche sapere è che non si è mai 24 ore su 24 all’interno di questo discorso. Quando ci si offre un’alternativa, la tendenza naturale dell’uomo è di andare verso il discorso tecnoscientifico. Qual è il sistema che anima una delle grandi caratteristiche del discorso del maître, ragione per la quale si è mantenuto durante questi 20 secoli, come ho ricordato? C’è, in questo discorso, una cosa del tutto sorprendente, c’è un arresto, c’è un impossibile e il paradosso è di considerare che questo ha anche ben funzionato e dura da molto tempo a causa di questo impossibile. Il discorso analitico ha la proprietà di mantenere questo impossibile, di mantenerlo non nell’esercizio della nostra esistenza ma di farlo apparire come fosse un reale che appartiene al nostro linguaggio. Il discorso tecnoscientifico ha un enorme vantaggio: non c’è un punto d’arresto, non c’è – a priori – un impossibile in questo discorso, e dunque scivoliamo agilmente in questo processo che ci è offerto ed è logico! Se potete girare un interruttore per procurarvi del caldo quando fa freddo, perché non girarlo? Non occorre essere stupidi. La tecnoscienza è il confort, un invito a farmi godere nel confort. La funzione della psicanalisi non è di costruire un’etica della difficoltà. Non tengo un discorso contro la tecnoscienza ma faccio osservare che questo discorso non ha argini ed è la ragione per cui la nostra età contemporanea diventa folle di oggetti, in preda a un’ebbrezza dell’oggetto! Va bene l’ebbrezza, ma perché abbiamo del buon vino! E cosa volete farci! Voglio dire che qui, sentite che il problema etico è inutile e che non c’è nessuna etica per resistere a questo edonismo a meno che non vi ritiriate in una baita in montagna o andiate nel deserto, vale a dire non viviate più con i vostri contemporanei. Il discorso analitico ha come sua proprietà di fare apparire l’ostacolo negli altri discorsi e di mostrare qual è la causa di questo processo, del processo del desiderio nell’uomo è di mostrare qual è il suo significante-maître. Oggi questo significante-maître è godere. E vi annuncerò un’altra notizia, molto brutta. Karl Marx ha costruito tutta una teoria su un’etica della produzione, e perché tutto ciò è crollato dall’altra parte della cortina di ferro? Perché la nostra società non è più retta dalla produzione ma dal godimento.


Domanda: Il punto di partenza è un problema teorico. Lacan ha incontrato la nozione di godimento dopo un passaggio nel cuore stesso del desiderio. Per esempio quando ha sottolineato che il sonno da una parte era la manifestazione di un desiderio ma anche il mezzo attraverso cui si mantiene il sonno, il godimento del sonno. Dunque c’è un punto di incontro tra godimento e desiderio.


J.P.H.:Ciò che ho capito della vostra domanda mi porta a rispondervi così: Freud non ha costruito una teoria, ha semplicemente affermato una cosa molto semplice, che la nostra vita quotidiana era secondo lui sotto il primato di qualcosa che ignoriamo, cioè l’inconscio. A partire da questa premessa che rompe con tutti i sistemi anteriori (non dimenticate che la fine del XIX sec. è ancora un secolo della ragione kantiana) egli introduce un taglio terribile, di modo che tutte le nostre chiacchiere non valgono niente perché siamo sotto l’effetto di qualcosa di inconscio che ci determina. E’ questo che Lacan contrassegna con il suo S1 nel discorso analitico dove è il prodotto del discorso, il prodotto nell’Altro di questo significante-maître. Questa è l’interpretazione di Lacan sull’inconscio. Noi stessi quando cerchiamo nel discorso della modernità tra la posizione del desiderio e la posizione del godimento (che voi potete ritrascrivere: tra la libido sessuale di Freud e la libido dell’io, è pressappoco uguale) voglio dire che questa opposizione è sempre esistita ma esiste perché fa parte delle due facce dell’uomo. Ora la nostra contemporaneità è in un processo che favorisce il godimento. Vi darò un altro esempio: oggi si sottolinea sufficientemente che c’è un certo numero dei nostri contemporanei che vivono dei loro risparmi già molto giovani, che hanno abbandonato ogni lavoro e che la domanda che si pone nelle nostre società occidentali, è di sapere se dobbiamo diminuire il tempo di lavoro, cioè il tempo del desiderio e se non potremmo aumentare il tempo dei nostri godimenti. Tutto si organizza così, tutte le nostre questioni culturali oggi ruotano intorno a questo tipo di rapporto tra desiderio e godimento. Dunque non bisogna stupirsi del fatto che la questione non sia affatto risolta.

Traduzione di Rosanna Invernizzi


Posted by Direzione at 15:12

CICLO DI CONFERENZE

Disagio nella modernità: mutamento e incertezze dell’oggi

condotto da Marisa Fiumanò

Promosso da Associazione lacaniana a Milano e Laboratorio freudiano per la formazione degli psicoterapeuti – Milano tel 34778445889 tel. 02/795567 - fax 02/76008247
Presso: Casa della Cultura - Via Borgogna, 3 - 20122 Milano - MM1SanBabila www.casadellacultura.it segreteria@casadellacultura.it

Venerdì 2 Marzo 2007 - ore 21.00

Dove è andato a finire il legame sociale?

Charles Melman

Nel momento in cui le referenze religiose ( in Europa, almeno), nazionali, linguistiche perfino morali si indeboliscono, che cos'é che fa ancora  legame sociale?
Quali sono gli effetti di ciò che ci farebbe ancora restare insieme?

Sabato 3 marzo, dalle 10 alle 13,

nei locali della Casa della Cultura, Charles Melman terrà un seminario di approfondimento sul tema della conferenza per gli allievi della Scuola di specializzazione Laboratorio Freudiano. Possono parteciparvi come uditori anche psicologi, medici, psicanalisti, operatori della salute mentale o semplicemente chi é interessato al discorso psicanalitico, previa iscrizione la sera del venerdì.

Charles Melman, psicanalista e psichiatra, è fondatore dell’Association Lacanienne Internationale (ex Ecole freudienne, fondata nel 1982). È stato direttore degli insegnamenti dell’Ecole Freudienne de Paris di Jacques Lacan e direttore della sua rivista, Scilicet. È autore di importanti testi su questioni-fondanti della clinica e della teoria psicanalitica, oltre ad aver lanciato riviste prestigiose come il Journal Français de psichiatrie e, nel 1998, “La celibataire” di cui è direttore. Con “L’homme sans gravité Entretiens avec Jean-Pierre Lebrun, (Denoël 2002), ha voluto rivolgersi anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. Il libro ha avuto in Francia molto successo e diverse edizioni. Nel suo lavoro di trasmissione mantiene un uso aperto dei concetti lacaniani, uso improntato al rigore ma anche ad applicazioni inventive nei campi più nuovi dell’attualità.

Posted by Direzione at 14:44

12.02.07

CICLO DI CONFERENZE

Sabato 17 febbraio, dalle 9,30 alle 11

, nei locali della Libreria Claudiana, via Francesco Sforza 12/a, i lavori proseguiranno con una conferenza di Corynne Tyszler:

“Come l’istituzione può far parte del quadro clinico?”

Dalle 11,15 alle 13

Jean-Jacques Tyszler terrà un seminario clinico di approfondimento sul tema della conferenza del venerdì per gli allievi della Scuola di specializzazione Laboratorio Freudiano. Il seminario é aperto anche a psicologi, medici, psicanalisti, operatori della salute mentale o semplicemente a chi fosse interessato al discorso psicanalitico, previa iscrizione la sera del venerdì.

Posted by Direzione at 23:22

CICLO DI CONFERENZE

Disagio nella modernità: mutamento e incertezze dell’oggi


condotto da
Marisa Fiumanò

Promosso da Associazione lacaniana a Milano e
Laboratorio freudiano per la formazione
degli psicoterapeuti – Milano
tel 34778445889
tel. 02/795567 - fax 02/76008247 - www.casadellacultura.it
segreteria@casadellacultura.it


La depersonalizzazione “le pas de danse” tra voce e sguardo


Jean-Jacques Tyszler


Non ho perso la memoria e non sono neanche pazzo eppure ho l’impressione che il mondo intero sia cambiato. O sono io stesso ad esserlo?
Tutto quanto mi era familiare mi risulta enigmatico: l’identità, il sesso, la parola.
Che possiamo dire oggi di questa inquietante estraneità, Das Unheimliche, il “perturbante” freudiano, a partire da due oggetti, la voce e lo sguardo, che Lacan proponeva come oggetti del desiderio?

Venerdì 16 Febbraio 2007 - ore 21.00 Casa Della Cultura via Borgogna 3 Milano


Posted by Direzione at 23:07

Intorno all’identità 4

Oggetto a e godimento nella perversione, nella fobia, nella nevrosi

Seminario Marisa Fiumanò 2006-2007
4° lezione

È possibile scaricare questo documento in formato pdf daqui.

Prendiamo ora la questione dell’identificazione da un’altra angolatura che ci permetterà di accostare le nozioni di godimento e oggetto a così come Lacan le sviluppa nel seminario del ’68-’69, D’Un Autre à L’autre.1

Cercherò di centrare la nozione di a, oggetto causa del desiderio, che nel seminario successivo “L’envers de la psychanalyse” Lacan accosta a quella di plus-de-jouir, plus di godere, vale a dire uno dei quattro termini in funzione nei quattro discorsi che formalizza Esaminerò in particolare la seconda parte del seminario o, per essere più precisi, le lezioni che vanno da marzo in avanti. Ricordo che quell’anno le lezioni si susseguivano a un ritmo settimanale e i contenuti sono di una densità e complessità notevole, il che fa della trascrizione di questo seminario una lettura davvero impegnativa.


Nella lez. XVI ( 26 marzo ‘69 ) Lacan si occupa del ruolo dell’oggetto a nella perversione.

Va detto che solo alla fine di quell’anno di insegnamento Lacan comunica al suo uditorio che il 20 marzo aveva ricevuto una lettera in cui gli si diceva che l’anno successivo non avrebbe potuto continuare il suo insegnamento all’Ecole Normale. La motivazione? La mancanza di aule, cosa difficilmente credibile, fa notare, visto che l’orario scelto per tenere le sue lezioni, le 13, non era certamente ambito da altri docenti.

Nella lezione del 26 marzo però Lacan non fa parola della comunicazione ricevuta ma inizia dicendo che parlerà d “verità prime”; aggiunge anche che lo fa perché è molto difficile accordare “i nostri violini” con tutto ciò che di contemporaneo si produce. Si tratta insomma di mettere la clinica alla prova della contemporaneità.

Poiché nella lezione precedente ha parlato dei rapporti della sublimazione con l’oggetto a, vuole ritornarci. Ne ricorda le forme ( seno, feci, voce e sguardo) e la struttura topologica che può configurarsi come sfera, toro, cross-cap e bottiglia di Klein. Ad ogni forma dell’oggetto corrisponde una di queste strutture.

Lacan aggiunge che ciò che fa dell’oggetto a qualcosa che può funzionare come equivalente del godimento è la sua struttura topologica. Struttura che, in ciascuna delle quattro forme topologiche che lui ha indicato, è caratterizzata dalla continuità del bordo. Questo fa sì che ci sia in ciascuna di esse un posto che congiunge l’intimo alla radicale esteriorità. L’oggetto a è quindi in postura di funzionare come luogo di cattura del godimento, un godimento che percorre un bordo continuo.


Per esemplificare il rapporto di questo oggetto con l’Altro Lacan si affida alla clinica della perversione.

Prima si sofferma a descrivere l’andirivieni freudiano per chiarire il rapporto tra nevrosi e perversione: la nevrosi è una difesa dalla perversione ? si chiede Freud. Ma anche la perversione ha delle difese. Non è quindi questo che la caratterizza.

Per centrare la questione bisogna partire dalla terraferma dell’analisi, cioè dal fatto che non succeda niente nell’analisi che non sia riferito allo statuto del linguaggio e alla funzione della parola. Questo luogo dell’Altro, luogo del linguaggio, è anch’esso strutturato dall’incidenza significante e questo introduce una mancanza, un buco che può distinguersi a titolo di oggetto a. Dunque l’Altro è bucato. Lacan riprenderà quest’affermazione in molti modi nelle lezioni successive. Ad esempio chiamerà questo A bucato dall’oggetto l’en forme di a.

Questo é un punto fondante della sua teoria perché su questo si basa l’affermazione che non c’è metalinguaggio, che non c’è meta-teoria, che non c’è Altro dell’Altro, e anche che la psicanalisi, ed è per questo che si distingue dalla religione, rappresenta una forma di ateismo che Lacan definisce, in un altro luogo, un ateismo conseguente. L’Altro è dunque mancante.


Dal fatto che l’Altro sia bucato, o incompleto, derivano importanti conseguenze cliniche.

Nella clinica delle perversioni, appunto, appare evidente che l’oggetto a viene fatto sorgere come qualcosa che ottura il buco nell’Altro. Dunque l’Altro si presenta come luogo “evacuato dal godimento” ed è per questo che si potrebbe definire il perverso come qualcuno che si consacra a chiudere questo buco nell’Altro e in questo senso, dice Lacan, può considerarsi come un difensore della fede.

Va detto che questo illumina il meccanismo della denegazione, meccanismo che caratterizza la perversione. Il perverso sa che il luogo dell’Altro è bucato, o, potremmo dire con le parole di Freud, che la madre non ha il fallo, ma lui crede, pur sapendo che è falso, che non sia così.

Contrariamente a ciò che comunemente si pensa, il perverso non è qualcuno che disprezza l’altro/l’Altro ma è invece preoccupato di colmare il buco nell’Altro e lo fa come un ausiliario di Dio. Un esibizionista ad esempio - é un caso ricavato della letteratura psichiatrica- non si esibiva solo davanti alle bambine ma anche davanti ad un tabernacolo.

In questo caso è in questione lo sguardo e l’essenziale non è tanto di sapere se esibendosi lui vuole provocare la paura nell’altro ma che vuole fare apparire lo sguardo nel campo dell’Altro, cioè vuol fare apparire un oggetto. In questo caso un oggetto presentificato dall’apertura improvvisa che mostra qualcosa che obbliga a guardare. Questo è l’essenziale della pulsione scopico-filica. L’esibizionista si occupa del godimento dell’Altro attraverso l’altro, il partner che fa da supporto particolare all’Altro.

Lacan fa notare qui l’ asimmetria tra l’atto dell’esibizionista e l’atto del voyer perché il voyer mira ad interrogare nell’Altro ciò che non può essere visto. Lui chiude il buco

( nell’Altro) col suo sguardo ( guardando attraverso la fessura, ciò che si chiama “luce”, lo spiraglio). In questa posizione, ad esempio del guardare nel buco della serratura, niente può farlo cadere, umiliare più che di essere sorpreso in questo essere catturato dallo sguardo. A questo proposito Lacan ricorda la descrizione magistrale che Sartre fa di questo rituale perverso ne L’essere il Nulla.

Allora il godimento del perverso sta nel fatto che l’Altro goda ma al tempo stesso che non manchi di nulla.

Lacan precisa infatti che il perverso è un crociato consacrato a che l’Altro gioisca e che quest’Altro è qualcosa di cieco o di morto. Questo lo interessa in quanto lui è un difensore della fede. Qui fa un gioco di parole tra croce e credere, croix e croire per dire che le crociate sono per la vita di un Dio morto.

Questo naturalmente ci espone, storicamente, politicamente, al rischio di altre crociate, visto che questa è la ricerca della perversione.

Vediamo come il seminario non manchi l’occasione di alludere alle conseguenze politiche della scoperta clinica.Si spiega anche così l’affermazione di Melman che questo seminario è un seminario “interamente politico”.


L’esibizionista suscita il godimento dell’Altro esibendo l’oggetto.

Il voyer chiude il buco nell’Altro col proprio sguardo.

E’ la volta adesso della perversione sado-masochista in cui l’oggetto in funzione è l’oggetto voce. Si tratta di voce e non di parola, la voce in quanto collegata alla funzione del Superio. La voce che ordina. La struttura topologica che corrisponde all’oggetto voce è quella della sfera, comunque una struttura circolare, come quella dell’apparato acustico, del vestibolo e dei canali semicircolari ma con un buco in mezzo.

Nel caso del masochismo la voce è rimessa all’Altro ed in questo rimettere la voce all’Altro c’è del godimento. E’ in gioco qui la funzione del Superio che resterebbe incomprensibile se non si cogliesse la funzione dell’oggetto-voce.

Se il masochista rimette all’Altro la voce anche il sadico, seppure in modo inverso, cerca di completare l’Altro imponendogli la sua voce e togliendogli la parola, cosa che in generale fallisce. Nell’opera di Sade la funzione della parola, del dibattito è ineliminabile. Tutti gli eccessi sono commentati e applicati con degli ordini, ordini che non provocano rivolte. Lacan ricorda a questo proposito le immagini delle file per i forni crematori e il fatto che in generale non contemplassero atti di rivolta. Fa inoltre notare che al sadico, come al voyer, qui il godimento sfugga, che tutto il campo è dominato dalla presenza dell’oggetto a (cioè la voce).

L’operazione del sadico, operazione in cui il sadico si fa strumento, consiste nel dare un “supplemento” all’Altro anche se, in questo caso, l’Altro non ne vuole. Non vuole, dice Lacan, però obbedisce. Si tratta di “supplire” ad un buco e quest’operazione può riempire una vita e, potremmo aggiungere, un’ intera fase storica.

In una lezione successiva ( XVIII del 30 Aprile 69) Lacan dirà che l’essenza della perversione è rendere a Cesare ciò che è di Cesare, cioè a all’Altro, a a colui da cui proviene. In questo senso la relazione del perverso con l’Altro è una relazione anaclitica, di appoggio.

Nella stessa lezione Lacan avanza un nuovo termine, scherzoso, per definire il fantasma del perverso. Il perverso crea l’hommelle, gioco di parole tra homme, uomo e hommelette, frittata;l’hommelle è la donna non castrata, dunque asessuata, qualcuno che il perverso vuole colmare, di cui vuole otturare la mancanza. Per il perverso la donna è al tempo stesso non castrata e hommelle.

Il seminario del 30 Aprile precede quello del 7 maggio dedicato alla questione dell’oggetto nella fobia. La fobia serve a Lacan come ponte – la definisce infatti plaque tournante, piattaforma girevole- per porre la questione dell’oggetto nella nevrosi. Lacan ricorre ad una modificazione della sua scrittura S(A), che vale per il perverso, che è un modo di scrivere l’hommelle e che si legge: significante dell’Altro non barrato. Invece nella nevrosi questa scrittura diventa s(A) dove s si legge significato di A cioè della faglia di A.


Come funziona allora la questione dell’oggetto nel caso del nevrotico? Poiché il nevrotico si vuole Uno nel campo dell’Altro potremmo pensare che la sua funzione non sia di supplemento ma di complemento all’Altro; lui sembrerebbe piuttosto centrarsi intorno ad un oggetto terzo

“ dietro il seno e come esso placcato sul muro che separa il bambino dalla donna, la placenta è lì per ricordarci che il bambino, ben lontano dal fare nel corpo della madre e con esso un sol corpo, non è neanche chiuso nel suo involucro, non è un uovo normale, rotto in quest’ involucro da questo elemento di placcatura per il quale, lo sappiamo adesso, possono legare e giocare tutti i conflitti, che risorgono al posto del bizantinismo, al melange di gruppi sanguigni e all’incompatibilità del tale gruppo col tale altro.” 2


Ecco l’oggetto terzo, questa placca ( la placenta) che certo appare nell’esperienza del nevrotico ma, se la si converte nel mito di un’unità primitiva, di un paradiso perduto, non troviamo ciò che è davvero in gioco nel caso del nevrotico. Si tratta per lui dell’impossibilità di congiungere sul piano immaginario questo oggetto a piccolo ( la placenta) con l’immagine narcisistica; questo ci collega al problema dell’identificazione, al narcisismo detto secondario, alla funzione del Moi e del ça. Il rapporto tra oggetto a e identificazione verrà ripreso più avanti, nella lezione XX del 21 maggio ’69.


Nella lezione XIX del 7 maggio 1969, dunque, Lacan, prima di sviluppare la questione dell’oggetto a nella nevrosi, si occupa della fobia come questione-ponte tra perversione e nevrosi.

Viene subito posto in primo piano il legame della fobia con l’angoscia che, ricorda Lacan, non è senza oggetto . E’ “non senza” vale a dire che si appoggia sulla mancanza e la mancanza suppone un ordine simbolico già costituito, vale a dire che ci sia del “contato” . L’animale, infatti, non manca di niente, non è diviso perché non parla.

Lacan sottolinea che dal momento che c’è del contato ci sono degli effetti del contato sull’ordine dell’immagine. In altre parole: che il simbolico influenza l’immaginario.

Il contare è dell’ordine del sapere, un sapere che nella scienza antica non era disgiunto dal potere a causa del fatto che chi può contare è colui che ripartisce e distribuisce il giusto. Potremmo dirlo in un altro modo, con i significanti adottati da Massimo Cacciari in una recente conferenza alla Casa della Cultura di Milano, che la potestas e l’auctoritas erano nelle stesse mani mentre nel mondo contemporaneo esse appaiono disgiunte.

Lacan ha affrontato la questione del sapere e della verità nella prima parte del seminario per sottolineare che il sapere è animato dal fantasma e dal desiderio che contiene.

Allora la fobia, in quanto accompagnata dall’angoscia, è presentimento della mancanza.

Qui Lacan vuole avanzare rispetto a ciò che ha detto della fobia nel seminario su La relazione d’oggetto ( 1956-57) e a proposito di Hans. Lì avanzava che la questione della fobia si pone alla giunzione di immaginario e simbolico, qui la esamina alla luce dell’oggetto a.

Il significante fobico si presenta come divorante ( vedi il cavallo per Hans) ma anche nel caso che Lacan riprende da H. Deutsch, il caso della fobia dei polli, si tratta di paura di divoramento. Questo carattere divorante è tale rispetto al narcisismo. Nel caso presentato da H. Deutsch si potrebbe dire che, all’enigma dell’angoscia e del suo oggetto che si scatena quando il suo paziente viene, bambino, immobilizzato dal fratello per mimare un coito anale, si sostituisce la fobia di essere divorato, divoramento narcisistico, dal pollo. Il sintomo si riferisce al narcisismo ma l’angoscia all’enigma dell’oggetto del desiderio dell’Altro.

Anche qui mi sembra che la questione si giochi fra un registro dell’Io, narcisistico, ed un registro dell’oggetto a, registro inconscio, enigma del desiderio dell’Altro.


Il nostro filo, la questione dell’identificazione, non si perde perché essa ha eminentemente a che vedere con questo enigma del desiderio, potremmo dire con le sue tracce.

E’ infatti nel seminario successivo, la lezione del 14 maggio ’69, che Lacan si rifà al seminario su l’ Identificazione del ’61-62.

Comincia col proporci una differenza tra traccia e segno. La traccia basta a se stessa mentre il segno rappresenta qualcosa per qualcuno.

La traccia, tuttavia può essere cancellata ed il soggetto che la cancella la trasforma, così facendo, in sguardo, apertura. Da qui la proposta di definire un soggetto “ciò che cancella le sue tracce” oppure “colui che rimpiazza le tracce con la sua firma” e per firma possiamo intendere anche una croce se qualcuno attesta che la croce di un analfabeta è davvero la sua. Da notare l’affinità della croce-firma col segno della cancellatura. Ecco come la traccia cancellata permette di indovinare, identificare un soggetto. Quando si lascia un segno e poi qualcosa che l’annulla, ecco quella è una firma.

Il significante nasce da queste tracce cancellate3, tracce ammesse da altre tracce, vale a dire: un significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante.

Poi Lacan abborda la questione del godimento e dell’indicibile del godimento in quanto non si fa traccia, non è simbolizzabile, non produce significante. Questione sottile e complessa che, per il momento, lasciamo a lato.



Note

1 Jacques Lacan D’Un Autre à L’autre. Seminaire 1968-69. Mi riferisco qui all’edizione dell’Association freudienne internaTionale. Pubblicazione interna e riservata ai suoi membri. Lo stesso seminario è pubblicato nelle edizioni du Seuil.
2 Op. cit. p.256 traduz. mia
3 ibidem p.308

-trascrizione non rivista dall'autore-

Posted by Direzione at 23:00

Intorno all’identità 3

L’algoritmo della Metafora Nome del padre


Seminario Marisa Fiumanò 2006-2007
3° lezione

È possibile scaricare questo documento in formato pdf da qui.

Se la questione identitaria nasce da una deficienza nell’articolazione tra processo di identificazione e metafora paterna, occorre illustrare la funzione di questa metafora che Lacan ha articolato e a cui Hiltenbrand ha dedicato molte lezioni del suo seminario dello scorso anno ( 2005-2006) per spiegare cosa intendiamo, o possiamo intendere, per “ Metafora Paterna” o funzione del “Nome del padre”. Attingerò a questo ricchissimo seminario che ci fa avanzare non poco nella lettura di Freud e Lacan.
Per centrare la questione della Metafora paterna Hiltenbrand si è appoggiato al testo di Freud “L’Uomo Mosè e la religione monoteistica”, un testo che vi è ormai familiare e che alcuni di voi hanno già presentato e commentato. Prima voglio proporre alla vostra attenzione l’ultimo paragrafo della voce “Nome del Padre” del Dizionario di Psicanalisi che si intitola: “La nascita della religione come sintomo” che è stata appunto affidata a Jean-Paul Hiltenbrand1.
Dall’analisi di “L’uomo Mosé e la religione monoteista”, sostiene, si ricava che la rimozione della morte del padre – l’ebraismo è fondato sulla rimozione del parricidio fondatore di questa religione- produce due conseguenze: la prima è la venerazione del padre morto,
la seconda è quella di “ suscitare un oggetto di desiderio” che permetta di iscriversi fra gli eletti.
Nel caso degli ebrei la circoncisione è questo segno, questo tratto che permette l’iscrizione. Freud insiste molto sulla questione della circoncisione.
In “Mose e il monoteismo” vi ritorna in più punti, a cominciare da un passo del primo saggio:
Mosè non diede solo una nuova religione agli ebrei, con pari sicurezza si può affermare che egli introdusse presso di loro la consuetudine della circoncisione. Questo fatto ha un significato decisivo per il nostro problema e non è stato quasi mai preso in considerazione”2
Storicamente si può affermare, prosegue Freud, che la consuetudine di circoncidersi venisse dagli Egizi, come si evince dai reperti sulle mummie o dalle raffigurazioni sulle pareti delle tombe mentre le tribù semite, prima dell’avvento di Mosé, non avevano la consuetudine di circoncidersi.
Freud mostra la continuità ma anche la differenza tra le due
religioni. Ad esempio gli egizi credevano in una vita dopo la morte, gli ebrei no.
Da qui la convinzione di Freud che Mosè, padre degli ebrei che avrebbe salvato dalla schiavitù degli egizi ( esodo dall’Egitto tra il 1358 e il 1350 fino alla terra di Canaan) , in realtà fosse lui stesso un nobile Egizio che ambiva a diventare capo di un popolo. Si spiega così la pratica della circoncisione, un “ segno che li mantenesse isolati impedendo la promiscuità con i popoli stranieri tra cui doveva portarli la loro migrazione” 3
Freud ipotizza dunque la dipendenza del monoteismo ebraico da quello egizio ma fa di Mosè il fondatore del monoteismo ebraico. È appunto un uomo, Mosè, che ha fondato il monoteismo, non si tratta di religione rivelata ma, potremmo dire, inventata.
Il tratto della circoncisione è dunque ciò che permette l’identificazione come ebreo, il riconoscersi come appartenenti ad un popolo eletto. É segno della predilezione di Dio. Un dio, Yahweh, che “sceglie” un popolo, cosa assai singolare, nota Freud4, forse l’unico nella storia delle religioni umane.
Questo segno di elezione da parte del dio unico è un segno di alleanza, di appartenenza ad un popolo eletto.
Si tratta di un “tratto unario” che mette insieme chi fa parte del popolo che ha stipulato questa alleanza.
É a questo punto che va detta una cosa essenziale, che si trova nel testo di Freud e che Hiltenbrand fa risaltare: la nascita del monoteismo è contemporanea al passaggio dalla tradizione orale alla tradizione scritta, al passaggio dal significante alla lettera. La trasmissione orale e quella scritta non si svolgono nella stessa maniera, non solo, ma non trasmettono la stessa cosa. La caratteristica del monoteismo è certo il dio unico ma la seconda caratteristica è che è legato alla nascita della scrittura. Una volta che si può portare con sé un testo non è più necessario moltiplicare gli dei; ne basta uno solo5.
In quest’ottica, va detto per inciso, possiamo considerare la questione della trascrizione dei seminari di Lacan che, per quanto si faccia attenzione alla fedeltà della trascrizione, rischia anch’essa il monoteismo, di fare cioè un Lacan Uno. Significa, anche, avere, nel rapporto col testo, un atteggiamento religioso e quindi conferirgli un valore assoluto.
A questo proposito va detto che la trasmissione del tratto non avviene comunque allo stesso modo per entrambi i sessi ma in modo differente per il bambino e per la bambina.
La trasmissione di questo tratto unario non è altro che la trasmissione del fallo, tra tratto unario e fallo non c’è alcuna differenza.
Per intendersi su come possa essere raffigurato un tratto unario ad esempio in pittura pensiamo alle opere di Egon Schiele in cui i corpi sono disegnati con pochi tratti che si ripetono in tutte le tele. Naturalmente la trasmissione di questo tratto può avvenire anche in altri modi, come ad esempio in Klimt.
Klimt descrive nei suoi quadri “ un’addormentamento felice” quello della madre e del bambino, quello degli amanti” , ed è così che trasmette il tratto unario, fallico6 .
Freud dunque parla di trasmissione di un tratto unario sottolineando la coincidenza tra invenzione del dio unico e nascita della scrittura. Lacan insiste sull’Einziger zug, tratto unario, termine che Freud impiega per caratterizzare una forma di identificazione, ma quando parla di Nomi-del-Padre cosa intende? In che rapporto colloca questo tratto unario con i Nomi-del-Padre? Come si inscrive questo tratto nella Metafora Nome del Padre? E che rapporto ha questo tratto, segno di elezione, con la castrazione?

La circoncisione non è la castrazione, la circoncisione costituisce la trasmissione di un tratto di identificazione al padre. Gli ebrei non hanno bisogno di dimostrare di essere eletti perché lo sono a causa del tratto
La circoncisione è un segno, certo, ma che fa tratto unario perché rappresenta l’alleanza con l’Altro e costituisce un’iscrizione nel desiderio dell’Altro. Non è la sua materialità che fa la differenza ma la sua iscrizione nel desiderio dell’Altro. In questo senso la circoncisione è un tratto elettivo fra quelli che possono iscriversi sul corpo in quanto è supposto rispondere alla volontà del Dio.

A proposito della materialità va notato che in L’Uomo Mosè e la religione monoteistica (in particolare nel paragrafo “C” che ha per titolo “ Il progresso della spiritualità”, 7) Freud fa coincidere il “progresso della vita psichica ( Geistkeise)”, che in italiano è tradotto “ progresso della spiritualità”, da un lato con la rinuncia pulsionale e dall’altro con un processo di dematerializzazione. Nel caso del popolo ebraico questo processo consiste nel divieto di rappresentare Dio attraverso delle immagini.
L’interdetto di rappresentare l’immagine di Dio “ è all’origine di un certo tipo di progresso” e non è un caso che gli Israeliani siano gli unici ad essere rimasti un popolo per tre millenni.
Insomma il dominio del sensoriale, del pulsionale, cede il passo a ciò che Freud chiama simbolizzazione anche se in Freud non abbiamo a che fare con lo stesso uso del concetto di simbolico che ne fa Lacan.
Per Freud il sacrificio pulsionale è voluto dal Superio che, in cambio di questo sacrificio, dà accesso all’amore del padre. Qui Freud introduce la nozione di etica e definisce il padre come colui che ha il ruolo di Superio, di grande uomo. É una definizione problematica e, soprattutto oggi, non possiamo pensare che ci sia un padre dietro ogni capo delle masse. É una questione che non affronteremo per proseguire, con l’analisi del testo di Freud, a definire come si costituisce il Nome del Padre e qual è la funzione del parricidio.
La costituzione del Nome del padre è un sintomo e si effettua a prezzo di una rimozione; della rimozione di un assassinio. É quello che afferma Freud e Lacan non lo contraddice ma scrive in modo diverso questa funzione Nome del Padre e questa diversità porta con sé delle notevoli differenze.
Quale? La differenza tra ciò che ci dice Freud sul Nome del Padre e Lacan é molto semplice, afferma Hiltenbrand. Freud designa un significante come ciò che è destinato a trasmettere il Nome-del-Padre, Lacan non fornisce un significante ma un’articolazione, quella della metafora. Questo comporta una differenza radicale. La differenza che c’è tra un fallo o un cero, visto che siamo nella religione, e una fabbrica per fare ceri. Non è la stessa cosa...8
Aggiungerei che è per questo che parliamo di Nomi del Padre, perché si fabbricano come i ceri. Si fabbricano nel corso della storia di una cultura. Questo può farci sperare che al declino di questa forma del Nome del padre cui assistiamo possano sostituirsi altre forme di Nomi del Padre.

Nel testo del 1938 Freud non ha modificato le sue tesi di Totem e tabù, tant’è che lo ricorda a più riprese nell’Uomo Mosè. Ma ciò che appare davvero importante è che sembra voler dire che il vero mito del padre non consiste nel famoso mito di Edipo ma nell’instaurazione del monoteismo operata da Mosé. Questo è il vero mito fondatore, è questo che ha permesso ai Semiti di vivere nel Sinai e di resistere per dei millenni come popolo malgrado la diaspora.
“Perché? Perché questo monoteismo era fortemente articolato, grazie all’oblio, alla rimozione e al ritorno del rimosso, al parricidio fondatore di questa religione. “ 9.
Freud considera dunque la costituzione del monoteismo più importante dell’interdetto edipico. Lui ha in qualche modo, in questo testo, glissato sull’edipo e ha messo in rilievo qualcosa che va anche al di là del principio del monoteismo, del Dio.
Forse la nostalgia del Padre così come si presenta oggi, in modo immaginario certamente, è legata al declino di questo principio, del Nome del Padre.
Hiltenbrand propone di leggere il testo de “L’uomo Mosè…” come la descrizione della messa in funzione tanto sul piano individuale che su quello collettivo di un sintomo definito come Nome del Padre.
La costituzione di questo sintomo Nome del padre avviene in quattro tempi logici che Freud mantiene invariati in tutto il corso della sua elaborazione teorica. Lo schema che propone, che applica sia alla storia collettiva che a quella del singolo e che attraversa tutto il testo, è la questione del trauma precoce e della difesa che ne segue; segue poi il periodo di latenza e, con il sintomo, il ritorno parziale del rimosso.

Il Nome del Padre è un prodotto della metafora, è un puro significante “ che la religione ci ha insegnato ad invocare”10
Che cos’altro è se non un invocazione il “Padre nostro”, la più importante preghiera cristiana? É una verità sacra, una verità inconscia, anche se niente nella realtà la dimostra o la convalida.
Il testo di Freud ne è attraversato dall’inizio alla fine, cioè fino a “Mosé e il monoteismo”, l’ultimo scritto di Freud insieme al “Compendio di psicoanalisi”.
Non è un particolare inessenziale che il “Mosè” sia stato scritto durante il nazismo, quando cioè l’invocazione di quel Nome era risultata inutile e inefficace; soprattutto quando la barbarie nazista aveva mostrato, al posto di quel Nome, un buco.
I primi due saggi del “Mosé” furono scritti nel ’38, quando Freud, ancora a Vienna, era “protetto” dalla Chiesa cattolica mentre l’ultimo, che non pensava di pubblicare, sarà pubblicato invece quando é ormai in salvo a Londra ( l’avvertenza che precede il saggio è datata giugno ‘39 ). I temi di “Mosè e il monoteismo” riprendono da un lato quelli di “Totem e tabù” ( 1912) e, dall’altro, quelli di “ Il Mosè di Michelangelo” ( 1913).
I primi due saggi erano apparsi in edizione quasi definitiva nel 1937 nella rivista “Imago” rispettivamente con questi due titoli: “Mosé l’egizio” e “ Se Mosè era egizio”. L’opera completa viene pubblicata nel ’39 presso un editore di Amsterdam col titolo “ L’uomo Mosé e la religione monoteistica”, e costituisce un vero e proprio testamento.
Il “Mosé” é un testo ridondante perché racconta con dovizia di citazioni di ciò che si è inscritto in 3500 anni di storia ma é piuttosto inattendibile dal punto di vista storiografico. Ma non è questo che conta. Ciò che ci interessa è come dia conto dell’iscrizione di una traccia, segno di qualcosa di dimenticato, di rimosso. Più la traccia è antica, più ha degli effetti; e questo vale sia per la storia di un popolo che per quella di un soggetto. Anche un soggetto vive delle tracce significanti, simboliche, che si sono costituite nella sua storia.
Nel carteggio con Arnold Zweig Freud dice in una lettera che alla domanda sul perché l’Ebreo si fosse tirato addosso un odio così inestinguibile la sua risposta era stata : è stato Mosé a creare l’Ebreo.
Possiamo chiederci adesso: sono ancora attuali questi Nomi del Padre di cui Freud descrive così bene nel Mosé la costituzione? E come si colloca questa problematica all’interno dei discorsi proposti da Lacan? Questi discorsi tengono ancora oppure si stanno decomponendo? Questioni da riprendere quando esamineremo più da vicino la struttura dei quattro discorsi.

Il Mosè di Freud, secondo Hiltenbrand, è un testo esoterico che contiene una specie di messaggio velato, rivolto solo agli iniziati, un messaggio latente, come accade nelle opere dei grandi scrittori.
Molti grandi testi hanno un aspetto essoterico, apparentemente comprensibile, costruito per evitare la censura, ed un altro esoterico, rivolto agli iniziati.
Il testo scritto deve trasmettere qualcosa e questo qualcosa non è evidente, contiene questo qualcosa ma al tempo stesso lo maschera. La trasmissione avviene infatti attraverso la rimozione di una traccia scritta che funziona proprio in quanto cancellata.
La funzione della scrittura non è quella di conservare la traccia ma di sostituirsi a ciò che è stato cancellato, a ciò che è oggetto di rimozione. Potremmo dire che il simbolico della scrittura contiene un reale che è conservato ma in quanto rimosso, cancellato. Ed è questo che rende appassionante la scrittura, cioè la sua capacità di conservare qualcosa che resta fondamentalmente sconosciuto o enigmatico.
Potremmo dunque dire che c’è qualcosa di reale che è rimosso, cioè l’uccisione del padre, del fondatore, del messaggero, come è il caso di Mosè, che permette l’avvio della simbolizzazione, che è garante della simbolizzazione. L’assassinio del padre reale, assassinio rimosso, cancellato, permette di costituire il padre simbolico, permette la sua simbolizzazione. É così che Freud legge la Bibbia, come una narrazione storica costruita per rendere conto di questa cancellazione che non deve mai essere nominata per far indovinare fra le righe il punto rimosso che è all’origine del testo11.

Possiamo ascrivere questa cosa che non va nominata, che è cancellata, all’ordine del reale, occultato e al tempo stesso trasmesso attraverso la scrittura.
Ora, ed è questa una tesi di Hiltenbrand che mi sembra di straordinario interesse, il processo di trasmissione tra padre e figlio avviene in maniera analoga, vale a dire che c’è una trasmissione che appartiene al registro del simbolico, evidente, ed un’altra del registro del Reale, più difficile da descrivere, da comunicare. Entrambi i livelli di trasmissione li ritroviamo in quella che Freud chiama “identificazione al padre”.
Siamo di fronte ad un’aporia.
“ Mater sempre certa” recita il proverbio latino mentre il padre, fino ad ora, no; non era biologicamente certo ma, fino all’avvento delle tecnoscienze, non c’era bisogno che la sua paternità fosse provata. Semplicemente ci si credeva. Ci si crede ancora. Nei confronti del Padre funziona un vero e proprio atto di fede che non ha niente a che vedere con la certezza della madre, certezza dell’ordine del reale. Insomma l’atto di fede non concerne il padre reale ma il padre simbolico. É in lui che si crede. In questo senso le prove di paternità biologica che oggi sono possibili tendono a cancellare la differenza di registri, ad appiattire il simbolico sul reale.
Hiltenbrand ci suggerisce dunque di considerare l’assassinio primordiale, l’uccisione del padre come un assassinio rivolto al padre reale o immaginario, al padre con cui ci si scontra, ma che è proprio l’uccisione del padre reale che permette di trasferirlo sul piano simbolico.
Come avviene questo passaggio dal padre reale al padre simbolico? Intendo come avviene negli usi, nelle tradizioni di un popolo? Mi riferisco alle iniziazioni, ai riti di passaggio che, ad un’analisi storica, risultano avvenire tutti in maniera più o meno brutale. Anzi, sembrerebbe che, quanto più questa maniera è obbligata, tanto più la funzione del Simbolico ha tenuta.
Sembra che nei popoli più primitivi questo passaggio sia meno complicato, anche se a volte, appunto, più brutale. Come nel caso dei “Peuls”, un popolo dell’Africa nera che ha una tradizione specifica molto interessante, cioè bambini maschi che fino a sei-sette anni stanno con la madre, hanno accesso al suo corpo, non subiscono l’interdetto dell’incesto, e poi, brutalmente, vengono separati e inseriti nel gruppo degli uomini e da allora in poi non possono più tornare al gruppo delle donne. I bambini vengono gettati nel mondo degli uomini, l’interdetto paterno viene istituito tardi ma è netto, radicale, e la distinzione uomini-donne, di conseguenza, altrettanto.
Hiltenbrand sottolinea che in queste popolazioni non è presa in considerazione la natura del padre reale, le sue qualità, i suoi limiti, insomma la sua particolarità; si tratta di un atto, esercitato sul bambino, che lo getta nel mondo degli uomini. la funzione del padre reale non è in questione. L’atto è sociale.
L’iniziazione avviene con l’interdetto edipico ( il bambino viene strappato alle madri) e, attraverso l’ammissione al mondo degli uomini ( società che si struttura intorno al padre morto) con l’imposizione della differenza sessuale. Anche in questo caso, come nelle nostre culture, funzionano l’interdetto ed il debito ma senza il fattore nevrotizzante della colpevolezza presente invece nelle culture di tradizione cristiana.
Nei Peuls l’atto d’iniziazione che getta il bambino nel mondo degli uomini non è compiuto da un padre, è un atto della collettività ed è perciò ben più efficace che se fosse demandato ad un singolo.

Ma cosa si tratta di trasmettere: del reale oppure del Simbolico; del simbolico, cioè un sintomo? Siamo di fronte ad un’aporia.
Dopo Rousseau alcuni educatori hanno accentuato questa questione dell’incontro col Reale, ad esempio mettendo il bambino in una relazione con l’adulto in cui non veniva pronunciata parola. Esperienze brutali che hanno prodotto la morte reale dei bambini perché gli esseri umani hanno bisogno di parole per vivere.

Penso, a questo proposito, alla vicenda narrata da Manzoni nei Promessi Sposi ed in particolare all’educazione di Gertrude, la famosa Monaca di Monza. L’iniziazione della bambina avviene attraverso il corpo, attraverso la funzione della lettera e della contingenza sociale ( come si può constatare dalla descrizione dell’educazione delle bambine nel XIX secolo) e non attraverso la trasmissione di un tratto.
Nel caso di Gertrude potremmo dire che lei viene esclusa da questa iniziazione e questa esclusione violenta avviene anche nel precluderle la parola e nell’escluderla dalla circolazione del discorso familiare.
Il modo di iniziarla al destino che le era stato assegnato e a cui pure si ribellava, era avvenuto col silenzio che le viene imposto per costringerla alla volontà del padre. Si tratta di una sottrazione brutale alla vita, alla vita sessuale, allo scambio e alla circolazione nel mondo in quanto donna, in cambio di una posizione fallica, badessa di un convento. Ed è per bisogno di parole, cioè per non morire, che lei si piega e accetta. Si tratta anche qui di un Reale che le viene imposto ma il modo con cui avviene quest’imposizione, il silenzio e l’interdizione di tutti i legami affettivi e sociali, produce la morte psichica, o la follia.
Anche in questo caso si tratta di un esperimento educativo perché il padre voleva che lei acconsentisse alla clausura come a un destino di privilegio e d’eccezione e non che la subisse come un sopruso. Manzoni dedica moltissime pagine di fine analisi psicologica per far risaltare l’arbitrarietà e la crudeltà di questo padre-padrone così determinato a sacrificare la figlia per salvaguardare gli equilibri patrimoniali e dinastici.
La questione dell’educazione delle donne, che è anch’essa un’iniziazione, anche se si svolge con modalità diverse da quelle degli uomini, merita un discorso a parte. L’esempio di Gertrude mi serve in questo caso ad illustrare la funzione mortifera dell’assenza di parole nell’educazione del bambino. Ricordo che Gertrude era stata allevata fin da piccola nella prospettiva della vita monacale ma questo non era servito a far nascere in lei la “vocazione”. Allora le era stato scavato intorno il vuoto del silenzio.
Se la brutalità dell’operazione è effettuata dal padre è perché questo si inscrive in tutta una tradizione occidentale sulla funzione del padre nella cristianità, da San Giuseppe in avanti. C’è tutta un’agiografia della funzione paterna ( appunto San Giuseppe, devoto e accudente padre-putativo) che fa parte della tradizione cristiana e che non è necessaria al monoteismo. In altre tradizioni, come in quella descritta, dei Peuls, l’atto è compiuto sul bambino, l’accento non è messo affatto sul padre; in questo modo la trasmissione è più efficace e il peso della trasmissione non è tutto sulle spalle di lui.

La psicanalisi fa riferimento ad entrambi i modi di trasmissione, quello in cui l’atto è portato sul bambino oppure quello in cui l’atto è esercitato dal padre, attraverso la funzione paterna.
Questa trasmissione poggia su un reale primitivo rimosso che è un’uccisione, che sia quella descritta da Freud in Totem e tabù oppure attraverso il mito di Edipo o ancora in “ Mosé”, poggia sulla funzione del padre morto, cioè sul padre simbolico.
Con Lacan abbiamo un terzo modo di risolvere quest’aporia della funzione paterna: attraverso la scrittura dell’algoritmo. Perché?
Perché introduzione al simbolico significa introduzione alle leggi del linguaggio, possibilità dunque di mettere in relazione la parola con la cosa, il significante con la realtà.
Per illustrarlo clinicamente possiamo fare riferimento ai disturbi del linguaggio.
I disturbi del linguaggio, ad esempio la balbuzie, sono tutti legati ad un malfunzionamento della metafora. Se il Nome del Padre non si colloca correttamente il rapporto del significante alla cosa, del linguaggio col reale, ne risulta perturbato. Questo è ancora più vistoso nelle psicosi dove la forclusione del Nome del Padre ha effetti innanzitutto sulla funzione del linguaggio, ad esempio produce il delirio.

Torniamo ora all’aporia contenuta nella trasmissione iniziatica, cioè al fatto che l’immissione simbolica contiene qualcosa dell’ordine del reale. L’algoritmo di Lacan è, secondo Hiltenbrand, un modo di risolvere questa aporia perché presentarla come un algoritmo significa presentarla come un effetto possibile. Un algoritmo non è solo una formula matematica ma una struttura di linguaggio. Quest’aporia non concerne solo lo statuto del padre reale, del papà, ma la primarietà della funzione fallica a cui non solo gli uomini ma anche le donne devono sottomettersi. In questa struttura consiste la trasmissione della legge ( fallica) che distribuisce i posti, che definisce l’appartenenza sessuale. L’origine della cosa resta tuttavia enigmatica e la nostra formula non spiega l’enigma e non risolve l’aporia.

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Perché è il Nome del Padre che trasmette la funzione fallica? È un enigma, l’algoritmo non spiega, scrive soltanto la metafora. E dice che c’è un funzione fallica a cui tutti sono sottomessi e che non è attribuita in modo eguale agli uomini e alle donne. Al tempo stesso non se ne può fare a meno. Un mondo di eguali sarebbe un mondo senza fallo. Il fatto che ci siano rivendicazioni di eguaglianza dimostra che il fallo funziona e non è distribuito in modo eguale fra i sessi. Non solo, ma non è neanche sempre assunto dal sesso a cui spetta.
Un rimprovero che si ascolta di frequente, che le donne rivolgono agli uomini, è di non ottemperare al proprio dovere fallico.
Questo “ dovere fallico” ha a che fare con l’esercizio della funzione paterna e bisogna dire che non c’è un solo modo di esercitarla, un modo Uno di esercitarla. Bisognerebbe essere psicotici per crederlo, bisognerebbe essere come Schreber.
Il caso di Hans mostra bene l’ambiguità in cui si esercita questa funzione e anche la difficoltà di Freud a destreggiarsi sui diversi piani di questa funzione. Freud occupa a tratti per Hans una funzione immaginaria oppure simbolica ma suo padre, uomo moderno e gentile, che si occupa tanto di lui, che si dà un gran da fare ebbene, ad Hans non basta! Ed è così che gli dice ad un tratto: Ma tu devi essere geloso! Vale a dire non sei abbastanza reale, non funzione abbastanza come padre reale.

Tornando alla Metafora: in questa metafora, effetto di un gioco di sostituzione di significanti, il soggetto non è scritto da nessuna parte ma è contenuto all’interno. Ciò che chiamiamo soggetto è contenuto in questa scrittura fatta di significanti.
La metafora Nome del Padre è un’aporia, abbiamo detto.
Un’aporia non deve essere compresa, non bisogna cercare di comprendere.
Abbiamo anche detto che il soggetto è da qualche parte lì, dentro l’algoritmo. Dove? Dov’è ad esempio all’inizio di un’analisi? Può essere sotto la questione Nome del Padre o Desiderio della madre, ma in ogni caso il suo problema è il suo rapporto col fallo.
Tempi della Metafora.
La metafora Nome del Padre si realizza in due tempi: il primo, barra sul desiderio della madre, non basta.
La realizzazione della metafora Nome del Padre avviene in due tempi, tempi logici. Il primo consiste nell’elisione del desiderio della Madre, cioè nella sottrazione del soggetto al campo del desiderio della madre ( con tutte le variabili legate alla storia particolare di ognuno) e nel processo di identificazione al padre.
Come gioca in questo processo il famoso “tratto unario” che Lacan isola all’interno del testo di Freud quando Freud parla di identificazione per incorporazione o per introiezione come nella traduzione italiana? “Tratto unario”, “einziger zug” diventa in Lacan identificazione al tratto del desiderio dell’Altro, dunque identificazione all’Altro ma anche al suo oggetto, ad “a”. Per Lacan ciò che conta non è tanto l’identificazione all’Altro ma al segno, al tratto che avviluppa il suo desiderio.
Hiltenbrand fa notare che nella clinica spesso abbiamo a che fare con un processo invertito rispetto a questo; vale a dire che solo dopo una certa riappropriazione della relazione col padre il soggetto può dire al suo partner “ti amo”, cioè può dire il suo desiderio ma anche qualcosa che si inscrive nell’ordine della domanda, cioè nell’amore in quanto sempre inscritto nell’ordine della domanda.
E cosa avviene invece nel transfert?
L’identificazione è dell’ordine dell’amore e della domanda oppure si eleva al registro del desiderio?
Il dispositivo della cura dovrebbe permettere questo passaggio che Hiltenbrand chiama “ progresso nella legge del padre”, cioè al registro del desiderio. Per Lacan la terza identificazione proposta da Freud, l’identificazione isterica, è un possibile passaggio per andare al di là, al registro del desiderio. Se invece il processo si ferma all’identificazione con l’oggetto del desiderio (dell’Altro), se il bambino – anche il vecchio ex-bambino- è preso nel tormento del desiderio, dell’oggetto del desiderio della madre, la cura, secondo Lacan, è un aborto.
La posizione etica dell’analista consiste appunto nel far approdare il soggetto all’ordine del proprio desiderio.
Leggiamo ora l’algoritmo della Metafora paterna nello sviluppo dei suoi tempi logici.
Il primo tempo ha a che vedere con ciò che chiamiamo “rimozione originaria” ed è anche ciò che condiziona il fatto che prenda avvio la dialettica edipica, cioè la normale nevrosi. Insomma questo primo tempo garantisce che non siamo nella psicosi. Avvio della dialettica edipica significa anche che si costituisce in qualche modo la cosiddetta “ normalità fallica”; di nuovo: una struttura nevrotica.
Nel secondo tempo il Nome del Padre in quanto significante raddoppia il posto dell’Altro inconscio. fa scivolare sotto la barra della rimozione il significante fallico e lo simbolizza
( viene al posto del fallo originariamente rimosso e lo simbolizza); istituisce così la rimozione e la castrazione simbolica, e al tempo stesso un oggetto causa di desiderio.
Il che significa che l’oggetto causa del desiderio si inscrive sotto la sua legge, una legge che ordina le posizioni secondo il sesso. Il soggetto insomma apprende a desiderare secondo la sua posizione sessuata.
Se in questa operazione si verificano degli inciampi la conseguenza sarà l’inibizione oppure l’impossibilità di dare corso al desiderio in tutte le sue possibili conseguenze sul piano dell’amore, della professione e della produzione intellettuale in generale.



NOTE
1 vedi anche la voce firmata da jean-Paul Hiltenbrand “ Nome del Padre” nel Dizionario di Psicanalisi” di Roland Chemama e Bernard Vandermesch Gremese editore
2 S. Freud: L’uomo Mosé e la religione monoteista” in Opere vol. XI p.354
3 ivi, p.357
4 ivi, p.371
5 J.P. Hiltenbrand Seminare.. pag.103
6 ivi, pag.108
7 ibidem pag.430
8 J. P. Hiltenbrand Seminario 2005-2006 : Les Noms-du-Père:entre régression en la foi et son progrès en la loi” traduz. mia
9 ivi, p.121
10 vedi la voce “Nome del Padre” firmata da Jean-Paul Hiltenbrand nel Dizionario di psicanalisi op. cit.
11 ivi, seminario del 9 maggio 2006

Posted by Direzione at 12:42
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