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25.02.07

LO PSICANALISTA NELLA CITTÀ

Conferenza tenuta il 23 giugno 2006 presso la Casa della Cultura a Milano in occasione della presentazione del libro di
Jean-Paul Hiltenbrand: “ Insatisfaction dans le lien social” Eres 2006. Nel quadro delle attività dell’Associazione lacaniana a Milano e del Laboratorio Freudiano per la formazione degli psicoterapeuti.

Si può scaricare la trascrizione in formato pdf da qui

Jean-Paul HILTENBRAND

J.P. Hiltenbrand:

Il titolo che Marisa Fiumanò ha dato alla mia conferenza di stasera è molto simpatico ma anche molto ambizioso. Partirò da un quadro generale. Siamo in un momento della civiltà, in cui dovunque ci voltiamo incontriamo il progresso, cioè non siamo più alienati alle autorità, al principio autoritario, la rimozione sessuale si è notevolmente attenuata, viviamo in un confort straordinario, le nostre democrazie sono giunte a una stabilità veramente rimarchevole in confronto agli altri regimi politici della storia. Inoltre viviamo in una cornice di protezione sociale, protezione multipla, sicurezza multipla. Se siete d’accordo con questo quadro, il paradosso è che al livello individuale assistiamo a depressioni, a rafforzamenti dell’angoscia, all’apparizione dell’inquietudine davanti al futuro, alla “fatica di essere se stessi”, alla mancanza di energia, di dinamismo nella nostra contemporaneità, e ciò che constatiamo clinicamente è un’apatia del desiderio. Sul piano generale, la maggior parte de nostri colleghi è d’accordo nel constatare il declino dei Nomi-del-Padre, declino della funzione paterna, declino del simbolico, declino dell’istituzione, cioè dello stato, della patria, della scuola. Constatiamo anche l’allentamento del legame sociale con l’impressione che ognuno corra dietro un progetto egoista, personale, senza occuparsi degli altri. Constatiamo una diminuzione della solidarietà tra gli individui e un isolamento sempre maggiore dei nostri contemporanei. Questa constatazione, questi paradossi, da un lato il progresso e dall’altro il declino di un certo numero di caratteristiche delle nostre società, ci obbligano a porci la domanda: che cosa accade? Qual è l’origine di questo nuovo malessere nella civiltà? Che cosa sanno gli psicanalisti o che ce ne possono dire? La nostra risposta è semplicissima: l’uomo è un “parlessere”, è organizzato non da avvenimenti e da un mondo di oggetti (il mondo che ci presentano i media): quest’uomo è organizzato da significanti e da discorsi. E come ha evocato poco fa Maria Teresa Maiocchi, Lacan quarant’anni fa ne ha identificati quattro o cinque e adesso si pone la questione di sapere se queste strutture che egli ha messo a punto sono sempre pertinenti o se è successo qualcosa tra questi discorsi che ci obbliga a considerare diversamente le cose. Questo termine, discorso della modernità, è una tautologia e siamo obbligati a tentare di trovarne gli assi portanti sia nelle nostre società che presso gli individui che sono sui nostri divani.

Se mi permettete, farò un piccolo percorso storico. La nostra cultura è stata dominata per una ventina di secoli da un discorso che si chiama il “discorso del maître”. In ogni caso capirete cos’è quando vi dirò che le nostre organizzazioni politiche nel corso di venti secoli, da Platone in poi, sono state strutturate intorno a un concetto che Aristotele ha molto trattato nella sua opera, ciò che noi chiamiamo “Sommo Bene” e che Aristotele ha anche chiamato “il primo motore immobile”. Questo discorso animato da questo significante-maître strutturava il pensiero teologico-politico da Platone fino a quasi il XVI-XVII secolo. Era dunque il regno del Sommo Bene. Questo discorso non ha più il suo primato. Ho inserito nel mio libro l’esempio di quel rivoluzionario che si chiamava Saint-Just e che era uno dei responsabili del governo del Terrore nel periodo della Rivoluzione francese, e che ha voluto reintrodurre il concetto di Sommo Bene sotto il termine di patria, di nazione. Così Saint-Just ha organizzato il terrore a partire da questo concetto e questo gli è costato la vita perché da due o tre secoli il concetto di Sommo Bene non aveva più corso. Ciò che fino a ieri legittimava la teologia e la politica ha perso il suo primato; oggi siamo obbligati a porci la domanda: in che tipo di discorso siamo condotti a vivere? La mia personale risposta è che la difficoltà sopraggiunge da quando siamo praticamente al culmine dello sviluppo della scienza. Già nel 1945, in una conferenza alla BBC, Bertrand Russell poteva dire che tutto ciò che ci capita di bene e tutto ciò che ci capita di male sul piano individuale come su quello sociale, dobbiamo attribuirlo alla scienza. Un altro filosofo tedesco degli anni 50, Schersky (anche analista delle questioni sociali), faceva notare che la scienza era arrivata al punto che le decisioni dei responsabili degli Stati non erano più guidate da un’idea politica o da un’idea filosofica ma da obblighi di tipo scientifico.

La scienza è una scrittura come una formula matematica mentre il sociale resta sempre un discorso. La scienza oggi è al suo apogeo e certo praticamente al suo punto di stasi; tutti i grandi scienziati lo fanno notare: ciò che avviene nei laboratori non è più scienza, è ricerca tecnologica cioè applicazioni a partire dalla scienza, e queste applicazioni tecnologiche permettono di trovare il denaro per nutrire i laboratori. A differenza della scienza, la tecnoscienza è un discorso e noi lo notiamo per es. nella medicina che è invasa dalla tecnoscienza ma ugualmente dal discorso che si chiama tecnoeconomico. Come voi sapete, nella maggior parte delle nostre democrazie il discorso tecnoeconomico ha rimpiazzato il discorso politico. I governi di destra o di sinistra si raccomandano sempre alla scienza economica, alla tecnoeconomia per prendere una decisione. Vediamo la nostra cultura invasa dalle tecnoscienze, e queste tecnoscienze hanno ormai rimpiazzato il Sommo Bene dell’organizzazione teologico-politica precedente. Se accettate quest’analisi storica comprenderete il seguito. Siamo dinnanzi a un corpus di saperi in considerevole espansione. Quindici giorni fa in una riunione di scrittori, si faceva notare che in Francia si pubblicavano 65000 libri l’anno! Il libro è un sapere per eccellenza. Ma questi saperi hanno un carattere eteroclito. Faccio l’esempio dei nostri ragazzi attualmente sommersi di conoscenze tecnologiche, tecniche, ma sempre più inadeguati sul piano delle relazioni umane. Ecco un tratto del tutto conosciuto, riconosciuto dagli insegnanti, da tutti coloro che hanno delle responsabilità nei confronti dei ragazzi. Un altro esempio, che traggo dagli studi di medicina in Francia: oggi si è obbligati ad insegnare agli studenti in medicina come si parla ai malati!

Si capisce bene che le difficoltà appaiano da ogni parte, e che in diversi settori, quello medico ma anche quello amministrativo, gli impiegati o i responsabili sono obbligati ad apprendere delle procedure in cui s’inscrivono protocolli di qualità, dove è inclusa, appunto, la relazione sociale ma sotto forma di protocollo. Vale a dire che noi non siamo più nell’arte della conversazione. Siamo passati insensibilmente da un’era teologico-politica e di Sommo Bene a un sistema che, nelle nostre democrazie, si trova sotto il tiro della scienza, e possiamo dire che la svolta – è un po’ artificiale rispetto al senso storico – è stata avviata da una parte da Galileo per le scienze, e da Machiavelli sul piano politico e riguardo la direzione dello Stato. Si è visto di colpo apparire un sistema, un corpus che si voleva scientifico e razionale. Ebbene, allo stesso modo siamo passati da un’era della sessualità sotto l’egida del desiderio a un’era che si chiamerà dell’erotismo e dell’edonismo. Non c’è più principio d’autorità, né capi religiosi che siano riconosciuti, né capi politici; e questo perché la scienza può dare una risposta a tutti i problemi sociali. Altrettanto bene lo si può vedere in certe democrazie dove il presidente può essere un ex attore di cinema o un saltimbanco dell’immagine e dei media senza che ciò sia nocivo per la direzione del paese poiché le decisioni sono prese da una tecnocrazia scientifica, vale a dire che i nostri apparati di maggior responsabilità sono essi stessi sottomessi alla tecnoscienza.

Torniamo adesso alla struttura soggettiva e diamone una definizione: un soggetto è qualcuno che è in relazione con l’Altro, questo grande Altro che è il depositario della causa del desiderio. Per esempio, attualmente a Grenoble stiamo organizzando un convegno sulla ricerca di identità: che cosa è accaduto nel nostro sociale perché ci sia questa ricerca di identità che vediamo apparire in tutti i ceti sociali, in tutti i paesi, come un sorgere generalizzato? E’ perché il discorso della tecnoscienza non ha solamente soppresso il posto del soggetto ma ha insieme anche abolito il luogo dell’Altro al punto che quando, per esempio, c’è una difficoltà o si pone una questione, non si avanza più l’ipotesi dell’inconscio ma si domanda alla scienza di trovare una risposta. Non c’è più dunque l’Altro simbolico. A partire da quel momento, poiché c’era sempre l’Altro che ci dava la nostra identità, a partire dal momento in cui quest’Altro è scomparso, sorge l’angosciante questione di ciò che sono. Se non c’è più Altro, sorge una nuova domanda: che cos’è un soggetto senza trascendenza? Prima la trascendenza era assicurata dal sistema teologico. Non c’era bisogno di credere in Dio, non era questo l’importante. L’importante è che c’era un luogo organizzatore della nostra società che era esterno a questa società e che si situava in un sistema di anteriorità rispetto alla nostra società, vale a dire che questa garanzia la trovavo perché era installata da sempre. Il re, o il presidente della Repubblica, non era in verità il rappresentante del popolo, era il rappresentante di questo principio di esteriorità anteriore, trascendente, che assicurava la coesione sociale. E’ quello che noi chiamiamo, nell’analisi, il luogo dell’Altro, che assicura contemporaneamente il luogo simbolico e il legame dinamico che garantisce che non sono in una relazione immaginaria sistematica con i miei contemporanei. Il discorso tecnoscientifico elimina questa referenza e credo che il caso più notevole sia quello delle Procreazioni Medicalmente Assistite, tema sul quale Marisa ha già organizzato un convegno qui a Milano. Prima l’arrivo di un bambino era una benedizione da parte di un’istanza terza, che fosse divina o magica poco importa. Non esistendo più questo luogo la PMA faceva la sua comparsa nel discorso tecnoscientifico come qualcosa che costituisce una riuscita tecnologica che interviene al posto della benedizione e che la rimpiazza. Il discorso tecnoscientifico ha la proprietà di sopprimere quel luogo di referenza trascendente che è l’Altro. D’altra parte, come questo discorso provenga dalla scienza e la scienza, per potersi sviluppare, abbia preliminarmente soppresso il soggetto – ve lo illustrerò semplicemente attraverso il fatto che una formula matematica deve essere scritta nell’ordine logico della matematica. Non è necessario interrogarsi sul senso, è addirittura nocivo per la scienza che il soggetto vi si addentri con i suoi interrogativi. Tutti i sistemi di comando automatici, cibernetici o meccanici sono previsti proprio per escludere il soggetto con il suo capriccio o i suoi difetti. Il discorso tecnoscientifico ha dunque questa proprietà di sopprimere il soggetto e di abolire l’Altro come luogo dell’inconscio.

Se noi torniamo ora alla questione dei saperi, il sapere di un soggetto è un sapere che è improprio. Ciò vuol dire che è un sapere male organizzato, un sapere in cui ci sono dei vuoti, è un sapere maldestro, disabile, è il sapere che caratterizza l’essere umano e in particolare colui che esige la relazione con il suo simile. Questo sapere noi lo chiamiamo sapere inconscio, ed è nei luoghi beanti di questo sapere che si colloca la funzione del soggetto. C’è soggetto nella misura in cui in questo sapere esiste una beanza. Ora il progetto della scienza – e lo vedete con le tecniche terapeutiche moderne come per es. le tecniche comportamentali – mira precisamente a organizzare questo sapere in modo di non aver più a che fare con il sapere non saputo del soggetto. Quelle che si chiamano in Francia le T.T.C., cioè le tecniche comportamentali, hanno la proprietà di poter regolare un problema o una difficoltà attraverso una pura logica di procedura o di protocollo come se si trattasse di una scienza o di una tecnoscienza. Constatiamo dunque che questa beanza nel sapere tende a ridursi sempre più a causa del lavoro della scienza. E perché no? Se ne può benissimo dedurre che ciò ridurrà anche le nostre possibilità di lavoro filosofico, metafisico, morale, perché in questo sistema, la morale non esiste più nel senso proprio del termine: può sorgere in seguito ma non nel corso della procedura poiché questa procedura non comporta alcun interrogativo. Ed ecco, ritornerò alla medicina. Attualmente in medicina per un gran numero di malattie esistono procedure tecniche. Per es., di fronte a un cancro al seno, bisogna procedere in quella precisa maniera. Il medico, una volta fatta la diagnosi, deve seguire quella tal procedura, quel tal protocollo terapeutico, e gli è severamente proibito porsi un problema etico perché se avanza un problema etico ciò provoca una rottura nel protocollo terapeutico. Ecco dunque un esempio che mostra bene che il discorso tecnoscientifico non può essere affiancato da nessun interrogativo etico al livello del medico che esercita.

Dunque, per fermarmi qui, che cosa ci viene a fare la psicanalisi in tutto ciò? Dopo queste considerazioni, questa specie di esplorazione che ho fatto sulla situazione attuale, per quanto mi riguarda non sono del tutto pessimista perché una situazione simile l’abbiamo già incontrata nella nostra storia. E’ esattamente il momento in cui è sorto il grande periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento.

La psicanalisi consiste semplicemente nel dare la parola al nostro paziente per rifare posto a un soggetto e all’Altro inconscio, nella loro relazione reciproca in cui il soggetto si manifesta appunto attraverso questo sapere inconscio, sapere inconscio che come noi sappiamo non è senza beanza. Ed è quel soggetto del sapere che Freud aveva identificato agli inizi della psicanalisi in quanto è proprio al livello della relazione sessuale, al livello della relazione sessuata all’Altro e nello statuto erotico del soggetto che si manifestava il più chiaramente possibile questa mancanza di sapere. Ora, nonostante il progresso, come ve l’ho descritto, nonostante questo immenso progresso, l’uomo resta sempre un essere maldestro, specialmente al livello del sapere sul sesso.

Domanda non udibile


J.P.H.: Sì, è proprio così! La tecnoscienza provoca questa eliminazione della soggettività umana, ciò che Lei chiama il carattere. Credo che per es. il rapporto che noi constatiamo dei giovani con il cellulare è una parziale manifestazione di questa auto-eliminazione, ciò che noi chiamiamo una abolizione soggettiva.


Domanda non udibile


J.P.H.: Tenterò di dirlo brevemente. C’è un’opposizione clinica caratteristica che è quella della situazione di godimento e quella della posizione di desiderio. Per fare un esempio semplicissimo e che non è affatto una critica cattiva, il legame del matrimonio è l’istituzione di una modalità di godimento di cui sappiamo tutti, e tutti noi osserviamo nella nostra esperienza clinica che è a detrimento del desiderio. Questa opposizione che esiste tra desiderio e godimento e che ha attraversato ogni nostra civiltà caratterizza due tratti della soggettività umana: quella che è organizzata da ciò che si chiama il fallo, cioè da questo significante-maître della sessualità che Freud aveva individuato sotto il termine “complesso di castrazione” e che concerne in proprio la dimensione del desiderio, ma, aggiungo, non solo nel campo del sessuale. L’altro versante, cioè quello del godimento, del godimento oggettuale, è l’altro versante della soggettività che preferisce godere di un oggetto. Capita ora che con l’evoluzione della nostra cultura, lo sviluppo della scienza e delle nostre possibilità industriali, la nostra contemporaneità è sommersa da oggetti, oggetti di godimento, oggetti da godere facilmente; se c’è qualcosa che caratterizza oggi la nostra cultura, è che praticamente tutti i godimenti sono alla nostra portata e penso che la tossicomania si inscriva in questa logica ed è quella la dimensione edonista della nostra cultura, la dimensione e la nostra evoluzione, l’evoluzione edonista. Pensate che se, due o tre secoli fa, aveste avuto una proprietà a trenta chilometri da Milano, vi sarebbe occorsa un’intera giornata per andarci. Oggi, senza ingorghi di traffico, vi basta un quarto d’ora, cioè è semplicemente il tempo di accesso al godimento che si è accorciato e le possibilità di accesso a questi godimenti si sono moltiplicate. E ciò fa sì che senza alcuna intenzione, buona, cattiva o come volete, siete inseriti in un sistema che permette che il godimento sia a portata di mano continuamente.


Domanda non udibile.


J.P.H.: Come sapete c’è un’espressione in francese che dice: “Non si ferma il progresso”. Non è l’errore della politica che ha permesso lo sviluppo della scienza, è proprio l’inverso. Il politico è sempre stato il complice per una ragione molto semplice, una ragione che Kant aveva già descritto, e cioè che la scienza permetteva di sviluppare armi molto più distruttive. Per Kant si trattava del solo progresso che era stato apportato dal tempo dei Romani. Il politico si è sempre mostrato complice, e vedete i budgets che gli Stati Uniti davano alle ditte della Nasa e ad altre, che erano budgets di guerra, gli enormi budgets che aveva dato l’URSS ai laboratori che avevano fini militari. In tutti i sistemi in cui c’era del denaro, dei mezzi, il politico si è sempre appoggiato sulla scienza.


Domanda: Se la scienza prende il posto del grande Altro come si può imparare la competenza sociale?


J.P.H.: I popoli che si sono organizzati da tempo immemorabile, si sono organizzati a partire da questa istanza Altra, sul piano religioso, magico o dei legami materiali. E’ soprattutto questo luogo Altro che era organizzatore. Se voi interrogate, per es., la ragione per la quale due individui stabiliscono insieme un legame, non troverete mai una spiegazione finale; ciò può spiegarsi in molti modi, tendenze, simpatie, interessi ecc., ma, in effetti, è l’Altro che organizza il legame tra due individui, che fa che oggi, questa sera noi siamo riuniti qui. Quest’Altro possiamo chiamarlo Lacan, Freud, per dargli un nome ma è un luogo concettuale che è organizzatore di qualcosa. Ciò che noi facciamo stasera è un tipo di legame sociale a cui Lacan ha dato come nome “il discorso analitico”. Ogni assemblea umana è organizzata da un certo luogo. Il discorso tecnico-scientifico non organizza luoghi, non organizza assemblee sia pur di appassionati e di addetti alle tecnoscienze, e inoltre anche questa tecnoscienza non può organizzare uno Stato. Essa può dare una legittimità a una decisione politica ma non è organizzatrice – per es.- della democrazia. Al contrario, è facile mostrare a partire dalla tecnoscienza che la democrazia sarebbe inutile dal momento che tutte le decisioni sono tecniche; e quando, negli Stati Uniti, si preconizza “meno Stato” è a causa della tecnoscienza che si può dire meno Stato. Capite perfettamente come la dimensione politica sia eliminata.


Domanda:Penso di essere più pessimista di Lei perché la perdita del soggetto vuol dire perdita di conoscenza dell’ambiente nel quale…


J.P.H: Si può effettivamente essere più pessimisti di me. Ma il soggetto riappare. Ho ricordato poco fa all’inizio del mio intervento questa recrudescenza di sintomi, di angoscia, di inquietudine, di depressione ma qui si tratta del soggetto che soffre nel discorso della tecnoscienza e per questo riappare con la sua sofferenza, ha il diritto di riapparire.


Domanda: …lo spazio-tempo è distrutto?


J.P.H: No, la nozione di spazio e di tempo soggettivo sono tempi variabili.


Domanda: Perché la scienza non é un discorso?


J.P.H.: La scienza non è un discorso, è una scrittura. Tenterò di spiegare cosa accade. Quando Galileo ha fatto la sua scoperta, egli ha fatto la seguente operazione: ha scritto sulla caduta dei corpi un rapporto tempo/spazio. Questa formula che ha scritto, doveva rendere conto del movimento del corpo senza che vi sia necessario – a partire dal momento in cui avete la formula – riflettere o tentare di comprendere. Ecco per definizione l’operazione di una creazione scientifica, e le autorità religiose che erano ben lungi dall’essere idiote all’epoca, hanno molto ben compreso la minaccia contenuta non nella formula ma in quell’operazione di scrittura. Infatti quella formula scritta sfuggirebbe ormai ai capricci di un Dio: essa è scritta e lo stesso Dio non può pensarla diversamente. E a partire dal momento in cui quella formula è scritta, potete dire qualsiasi sciocchezza su tale formula, quella formula è scritta e resterà vera ulteriormente. E’ qui che distinguete facilmente sulla base di questo esempio storico ciò che c’è di diverso tra una scrittura e un discorso. Una donna per esempio, ingaggiata in una procedura di fecondazione artificiale medicalmente assistita, sarà sottoposta a penose esperienze soggettive, a degli esami ecc, le parole degli specialisti che l’avvicineranno per fare la fecondazione ecc. Questi discorsi sono legittimati da una tecnica, ma la tecnica di per sé é silenziosa. Sono i medici che fanno commenti su queste tecniche, dunque è un discorso che appare, che si innesta sui commenti delle “buone donne” – se mi perdonate quest’espressione – su ciò che dicono le comari che circondano la fecondazione e la nascita del bambino; ma non si parlerà nello stesso modo di un bambino nato dal caso di un rapporto sessuale e di un bambino nato da una procedura estremamente rigorosa in un laboratorio. E’ un fatto di discorso.


Domanda non udibile: (…Da una parte, la tecnologia è il luogo di sviluppo della pulsione, dall’altra il soggetto…)


J.P.H.: Voglio fare due notazioni a proposito di ciò che ho capito del Suo intervento. Innanzitutto, mantengo la mia tesi del discorso tecnoscientifico ma ciò che bisogna anche sapere è che non si è mai 24 ore su 24 all’interno di questo discorso. Quando ci si offre un’alternativa, la tendenza naturale dell’uomo è di andare verso il discorso tecnoscientifico. Qual è il sistema che anima una delle grandi caratteristiche del discorso del maître, ragione per la quale si è mantenuto durante questi 20 secoli, come ho ricordato? C’è, in questo discorso, una cosa del tutto sorprendente, c’è un arresto, c’è un impossibile e il paradosso è di considerare che questo ha anche ben funzionato e dura da molto tempo a causa di questo impossibile. Il discorso analitico ha la proprietà di mantenere questo impossibile, di mantenerlo non nell’esercizio della nostra esistenza ma di farlo apparire come fosse un reale che appartiene al nostro linguaggio. Il discorso tecnoscientifico ha un enorme vantaggio: non c’è un punto d’arresto, non c’è – a priori – un impossibile in questo discorso, e dunque scivoliamo agilmente in questo processo che ci è offerto ed è logico! Se potete girare un interruttore per procurarvi del caldo quando fa freddo, perché non girarlo? Non occorre essere stupidi. La tecnoscienza è il confort, un invito a farmi godere nel confort. La funzione della psicanalisi non è di costruire un’etica della difficoltà. Non tengo un discorso contro la tecnoscienza ma faccio osservare che questo discorso non ha argini ed è la ragione per cui la nostra età contemporanea diventa folle di oggetti, in preda a un’ebbrezza dell’oggetto! Va bene l’ebbrezza, ma perché abbiamo del buon vino! E cosa volete farci! Voglio dire che qui, sentite che il problema etico è inutile e che non c’è nessuna etica per resistere a questo edonismo a meno che non vi ritiriate in una baita in montagna o andiate nel deserto, vale a dire non viviate più con i vostri contemporanei. Il discorso analitico ha come sua proprietà di fare apparire l’ostacolo negli altri discorsi e di mostrare qual è la causa di questo processo, del processo del desiderio nell’uomo è di mostrare qual è il suo significante-maître. Oggi questo significante-maître è godere. E vi annuncerò un’altra notizia, molto brutta. Karl Marx ha costruito tutta una teoria su un’etica della produzione, e perché tutto ciò è crollato dall’altra parte della cortina di ferro? Perché la nostra società non è più retta dalla produzione ma dal godimento.


Domanda: Il punto di partenza è un problema teorico. Lacan ha incontrato la nozione di godimento dopo un passaggio nel cuore stesso del desiderio. Per esempio quando ha sottolineato che il sonno da una parte era la manifestazione di un desiderio ma anche il mezzo attraverso cui si mantiene il sonno, il godimento del sonno. Dunque c’è un punto di incontro tra godimento e desiderio.


J.P.H.:Ciò che ho capito della vostra domanda mi porta a rispondervi così: Freud non ha costruito una teoria, ha semplicemente affermato una cosa molto semplice, che la nostra vita quotidiana era secondo lui sotto il primato di qualcosa che ignoriamo, cioè l’inconscio. A partire da questa premessa che rompe con tutti i sistemi anteriori (non dimenticate che la fine del XIX sec. è ancora un secolo della ragione kantiana) egli introduce un taglio terribile, di modo che tutte le nostre chiacchiere non valgono niente perché siamo sotto l’effetto di qualcosa di inconscio che ci determina. E’ questo che Lacan contrassegna con il suo S1 nel discorso analitico dove è il prodotto del discorso, il prodotto nell’Altro di questo significante-maître. Questa è l’interpretazione di Lacan sull’inconscio. Noi stessi quando cerchiamo nel discorso della modernità tra la posizione del desiderio e la posizione del godimento (che voi potete ritrascrivere: tra la libido sessuale di Freud e la libido dell’io, è pressappoco uguale) voglio dire che questa opposizione è sempre esistita ma esiste perché fa parte delle due facce dell’uomo. Ora la nostra contemporaneità è in un processo che favorisce il godimento. Vi darò un altro esempio: oggi si sottolinea sufficientemente che c’è un certo numero dei nostri contemporanei che vivono dei loro risparmi già molto giovani, che hanno abbandonato ogni lavoro e che la domanda che si pone nelle nostre società occidentali, è di sapere se dobbiamo diminuire il tempo di lavoro, cioè il tempo del desiderio e se non potremmo aumentare il tempo dei nostri godimenti. Tutto si organizza così, tutte le nostre questioni culturali oggi ruotano intorno a questo tipo di rapporto tra desiderio e godimento. Dunque non bisogna stupirsi del fatto che la questione non sia affatto risolta.

Traduzione di Rosanna Invernizzi


Posted by Direzione at 25.02.07 15:12
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