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01.07.04

Noi Altri. Il nuovo libro di Nazir Hamad

NazirHamad.jpgOriginale, difficile e coraggioso, ma appassionante e appassionato l’ultimo libro di Nazir Hamad, psicanalista franco-libanese di origine musulmana e ormai parigino d’adozione. Nazir Hamad, La langue et la frontière. Double culture et polyglottisme. Preface de Charles Melman, Denoel, 2004. Un libro che può anche infastidire, ad esempio chi, fra gli psicanalisti, trovasse eccessiva la contaminazione tra clinica, politica e sociale, o chi, tra i militanti per i diritti dei migranti, ritenesse lo strumento analitico insufficiente o inadatto ad affrontare le urgenze dei nostri fratelli provenienti dal sud del Mediterraneo. Perché è la figura dell’arabo, con la sua lingua, la sua religione e la sua cultura che rappresenta agli occhi di una certa Europa la figura dell’altro, del diverso da rigettare, da espellere per permettere di costituire un “noi”.

L’altro, che è poi il nostro specchio, il nostro prossimo, il simile più simile, ha sempre la funzione di consolidare un interno per difenderci da una supposta minaccia esterna. Invece l’altro siamo noi, “noi altri” dice Hamad riprendendo a suo conto il titolo di un libro di Todorov Nous et les autres. La necessità di demonizzare un “fuori di noi”, di proiettare il male all’esterno può accontentarsi anche del narcisismo delle piccole differenze: quello ad esempio che rende nemico il vicino di casa considerato geloso o malevolo se non abbiamo a disposizione altri su cui proiettare la nostra paranoia.
I musulmani oggi incarnano l’alterità più degli ebrei, sostiene l’autore, forte e del suo statuto di arabo-francese, della sua ampia esperienza clinica ma anche, e conoscendolo direi soprattutto, della curiosità ironica, arguta e benevola con cui interpella il mondo. Così, fra le storie che racconta, non ci sono soltanto esempi clinici, ma vicende di strada accadute a Beirut come a Parigi, incontri, avvenimenti in cui interviene come passante, cittadino, musulmano, emigrato di ritorno, incarnando insomma sempre la figura dell’altro e insieme del simile, sempre in bilico su questa linea di confine che impedisce di codificarlo, di assegnarlo ad una appartenenza, di definirlo “dei nostri” oppure “altro”. Presentandosi così al suo interlocutore, che sia un analizzante o qualcuno incrociato per via, interpellandolo in modo inatteso in quanto soggetto e non in quanto identificato con una religione o una cultura, lo induce a dubitare dell’appartenenza a un “noi”.
E cito un esempio, uno dei tanti straordinari brandelli di storie che contiene questo libro: si tratta di Mohamed, un adolescente che viene accompagnato in consultazione dalla madre perché ruba, mente, litiga e altro ancora. Per Mohamed, però, rubare non significa contravvenire la legge perché nella città da cui proviene, nel suo quartiere, quando si ha bisogno di qualcosa ci si serve. Il suo problema è piuttosto quello di cambiare nome. Vuole chiamarsi David, un nome che suppone americano, oppure Nike com’è scritto sulle scarpe e le t-shirt.
Il vero motivo di questa necessità di liberarsi di un nome che lo ingombra è che Mohamed è per tutti, compresi i suoi insegnanti, “Il Mohamed” e basta, qualcuno che non ha un patronimico ma che corrisponde ad un tipo, al piccolo delinquente di periferia parigina. Per questo per definirlo basta il nome proprio: Mohamed è come dire Zorro, Tarzan o Pinocchio. E Mohamed corrisponde a questi tratti, è diventato questi tratti. Da vittima del razzismo finisce per suscitarlo e rivendicarlo e per rappresentare, al di là della sua persona, il suo gruppo e la sua religione.
"Le pauvre Mohamed, il n’a meme plus le droit de rater sa scolarité sans impliquer la paresse de son groupe. Il n’a plus le droit de chiper, en bon petit délinquant, sans impliquer l’islam. Mohamed... est à l’image de son origine et de ses réfèrences."
Questo come assaggio, ma siete tutti invitati alla colorata tavola meticcia che Nazir Hamad ha imbandito per noi altri lettori.

Marisa Fiumanò

Posted by Alessandro Bertoloni at 01.07.04 11:03 | TrackBack
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