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PUBBLICAZIONI

QUADERNI LACANIANI
Hans 100 anni. Il contributo di Jacques Lacan alla psicanalisi dei bambini. Milano 2004.
Che cosa chiamiamo autismo? Le sorprese della clinica. Roma 2004.
Lacan 100 anni. Mosè e il Nome-del-Padre. Roma 2005.
Clinica dell'adolescenza. Clinique de l'adolescence di C. Tyzler. Roma 2005.
La psicanalisi è adatta ai bambini?

Per informazioni rivolgersi alla segreteria

09.03.05

La psicanalisi al filtro di Lacan

Esce da Gremese l’edizione italiana del Dizionario di psicanalisi, firmato da Roland Chemama e Bernard Vandermesch per la cura del Laboratorio freudiano. È il risultato di un lavoro di équipe che ha coinvolto una sessantina di collaboratori, dando luogo a una introduzione accessibile ai concetti di Lacan.

Nel settimo dei suoi seminari, dedicato al transfert, Lacan esplora con passione il Simposio di Platone per trovare nella posizione di Socrate il modello di quella dell’analista. Socrate, ci dice, è animato più di ogni altra cosa da "un desiderio di sapere infinito" che si origina nel punto vuoto, cieco del suo essere; un sapere non saturabile e sospinto da una mancanza centrale. Il sapere della psicanalisi ha questa origine e questa struttura. Come è possibile allora costruire un dizionario di questo sapere così anomalo, decentrato, mancante per definizione? E in base a quali criteri e con quale impianto?

Intorno a questa difficile domanda, e per volontà di Lacan ancora vivo, all’interno dell’Ecole freudienne de Paris si era costituito un gruppo di lavoro, detto appunto "del dizionario", sotto la responsabilità di Charles Melman. Il progetto, nella sua prima edizione francese, si realizzò soltanto nel 1995, all’interno dell’Association Freudienne sotto la guida di Roland Chemama. Dopo questa prima, il dizionario conobbe altre due edizioni per realizzare le quali nel frattempo si era affiancato nella cura Bernard Vandermesch.
La terza edizione, quasi raddoppiata, è il risultato del lavoro d’equipe di un gruppo di psicanalisti che si è accresciuto nel tempo – sono quasi sessanta ingaggiati nella stesura – e ad ognuno dei quali sono state affidate una o più voci in ragione delle loro particolari competenze. Il risultato è una voluta non uniformità, voci che costruiscono percorsi né chiusi né oggettivanti, costruzioni di tracciati di cui solo il singolo autore è responsabile. Come deve essere per una disciplina, la psicanalisi, che fa della flessibilità, del suo continuo farsi e dell’incompiutezza la sua specificità, senza nulla togliere né al rigore dell’impianto teorico, né alla leggibilità.
Un dizionario, dunque, deliberatamente plurale sia nei modi della scrittura che nel criterio di stesura dei lemmi e che preserva la vivacità del discorso psicanalitico dall’imbalsamazione del discorso universitario. Fatti salvi alcuni vincoli, come l’esplorazione preliminare delle voci nell’opera di Freud, quando si tratta di concetti freudiani, e in quella di altri autori classici prima di passare all’elaborazione di Lacan, come l’osservanza di criteri di uniformità editoriale. La novità dell’opera consiste anche nella proposta di lemmi inusuali che non sono solo concetti ma che hanno valore di significanti, "operano cioè su diversi registri, che assumono un senso diverso in funzione della loro storia, del loro contesto, dei campi semantici dai quali provengono, ma anche di analogie e derivazioni rispetto a ciò che costituisce il loro versante fonetico", avvertono i curatori nella premessa. Accanto a questi nuovi significanti troviamo voci che riguardano le scritture logiche, algebriche, topologiche, come è il caso di "matema", "notazione algebrica", "logica modale", "schema L", "cross-cap", ma anche lemmi propri della tradizione psichiatrica come "sindrome di Cotard", "automatismo mentale", "sindrome di Fregoli", che Lacan ha integrato nella sua dottrina. E poi ci sono le grandi invenzioni concettuali di Lacan, "oggetto a" oppure "Altro" o "RSI" (reale, simbolico, immaginario). Alcuni lemmi più di altri testimoniano del transfert di Lacan su Freud, valga per tutti la voce "desiderio", il "Wunsch" freudiano, la cui stesura, affidata a Cathelineau, psicanalista e filosofo di formazione, risulta particolarmente difficile da condensare in un lemma perché Lacan non solo ha dedicato a Le désir et son interprétation un intero anno di seminario, ma ha ripreso più volte il concetto lungo il corso del suo insegnamento, in particolare l’anno successivo (Le transfert, 1959-’60), per articolarlo con l’amore e col transfert. Qui come altrove il sapere della psicanalisi, e dello psicanalista che ne scrive, non ha pretese esaustive ma fa comunque il punto sullo stato dell’arte. Il lettore potrà, dunque, servirsi dell’opera come bussola di ricerca, come mappa di percorso nel campo della clinica e della formalizzazione a partire dal punto in cui lui stesso pone le sue questioni.
L’edizione italiana del Dizionario di Psicanalisi, fortemente voluta da Muriel Drazien, che ha scritto la premessa all’edizione italiana, e curata dal Laboratorio Freudiano e Carlo Albarello insieme ad un affiatato gruppo di traduttori, è costata due anni di lavoro di traduzione, revisione e adattamento dei lemmi alla nostra lingua. È augurabile che questo sforzo, insieme al rischio che si assume licenziando un’opera del genere, sia compensato da un risultato; e il più augurabile dei risultati è che questo Dizionario sia accolto dai suoi lettori come un’introduzione rigorosa ma al tempo stesso accessibile all’insegnamento di Lacan, un insegnamento che rifugge dal sapere predigerito e che esige di essere continuamente interrogato e rilanciato per saperne "ancora".

Marisa Fiumanò

01.07.04

Noi Altri. Il nuovo libro di Nazir Hamad

NazirHamad.jpgOriginale, difficile e coraggioso, ma appassionante e appassionato l’ultimo libro di Nazir Hamad, psicanalista franco-libanese di origine musulmana e ormai parigino d’adozione. Nazir Hamad, La langue et la frontière. Double culture et polyglottisme. Preface de Charles Melman, Denoel, 2004. Un libro che può anche infastidire, ad esempio chi, fra gli psicanalisti, trovasse eccessiva la contaminazione tra clinica, politica e sociale, o chi, tra i militanti per i diritti dei migranti, ritenesse lo strumento analitico insufficiente o inadatto ad affrontare le urgenze dei nostri fratelli provenienti dal sud del Mediterraneo. Perché è la figura dell’arabo, con la sua lingua, la sua religione e la sua cultura che rappresenta agli occhi di una certa Europa la figura dell’altro, del diverso da rigettare, da espellere per permettere di costituire un “noi”.

L’altro, che è poi il nostro specchio, il nostro prossimo, il simile più simile, ha sempre la funzione di consolidare un interno per difenderci da una supposta minaccia esterna. Invece l’altro siamo noi, “noi altri” dice Hamad riprendendo a suo conto il titolo di un libro di Todorov Nous et les autres. La necessità di demonizzare un “fuori di noi”, di proiettare il male all’esterno può accontentarsi anche del narcisismo delle piccole differenze: quello ad esempio che rende nemico il vicino di casa considerato geloso o malevolo se non abbiamo a disposizione altri su cui proiettare la nostra paranoia.
I musulmani oggi incarnano l’alterità più degli ebrei, sostiene l’autore, forte e del suo statuto di arabo-francese, della sua ampia esperienza clinica ma anche, e conoscendolo direi soprattutto, della curiosità ironica, arguta e benevola con cui interpella il mondo. Così, fra le storie che racconta, non ci sono soltanto esempi clinici, ma vicende di strada accadute a Beirut come a Parigi, incontri, avvenimenti in cui interviene come passante, cittadino, musulmano, emigrato di ritorno, incarnando insomma sempre la figura dell’altro e insieme del simile, sempre in bilico su questa linea di confine che impedisce di codificarlo, di assegnarlo ad una appartenenza, di definirlo “dei nostri” oppure “altro”. Presentandosi così al suo interlocutore, che sia un analizzante o qualcuno incrociato per via, interpellandolo in modo inatteso in quanto soggetto e non in quanto identificato con una religione o una cultura, lo induce a dubitare dell’appartenenza a un “noi”.
E cito un esempio, uno dei tanti straordinari brandelli di storie che contiene questo libro: si tratta di Mohamed, un adolescente che viene accompagnato in consultazione dalla madre perché ruba, mente, litiga e altro ancora. Per Mohamed, però, rubare non significa contravvenire la legge perché nella città da cui proviene, nel suo quartiere, quando si ha bisogno di qualcosa ci si serve. Il suo problema è piuttosto quello di cambiare nome. Vuole chiamarsi David, un nome che suppone americano, oppure Nike com’è scritto sulle scarpe e le t-shirt.
Il vero motivo di questa necessità di liberarsi di un nome che lo ingombra è che Mohamed è per tutti, compresi i suoi insegnanti, “Il Mohamed” e basta, qualcuno che non ha un patronimico ma che corrisponde ad un tipo, al piccolo delinquente di periferia parigina. Per questo per definirlo basta il nome proprio: Mohamed è come dire Zorro, Tarzan o Pinocchio. E Mohamed corrisponde a questi tratti, è diventato questi tratti. Da vittima del razzismo finisce per suscitarlo e rivendicarlo e per rappresentare, al di là della sua persona, il suo gruppo e la sua religione.
"Le pauvre Mohamed, il n’a meme plus le droit de rater sa scolarité sans impliquer la paresse de son groupe. Il n’a plus le droit de chiper, en bon petit délinquant, sans impliquer l’islam. Mohamed... est à l’image de son origine et de ses réfèrences."
Questo come assaggio, ma siete tutti invitati alla colorata tavola meticcia che Nazir Hamad ha imbandito per noi altri lettori.

Marisa Fiumanò

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