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26.06.05

Alcune incidenze della tecnoscienza

Presentiamo in anteprima il testo che Jean-Paul Hiltenbrand (psicanalista, fondatore dell'École Rhône-Alpes d'etudes freudiennes et lacaniennes e membro dell'Association lacanienne internationale) presenterà alle giornate della FEPP a Padova (29 e 30 ottobre).

«Quasi tutto ciò che distingue la nostra epoca dalle precedenti nel bene come nel male, lo dobbiamo alla scienza…La nostra vita quotidiana e la nostra organizzazione sociale tutte intere sono ciò che sono a causa della scienza…» Bertrand Russell, 1984.

«Le leggi e norme politiche fanno posto ad alcuni obblighi oggettivi della civiltà scientifica e tecnica che non è possibile presentare come decisioni politiche e che non possono essere compresi come norme in materia d’opinione e di visione del mondo (Weltanschauung). L’idea di democrazia perde così in qualche modo l’essenziale di ciò che faceva tradizionalmente la sua sostanza: l’obbligo oggettivo che l’uomo stesso produce in quanto scienza e lavoro prende il posto della volontà politica del popolo.» H. Schelsky, 1961.

Queste due citazioni che ormai hanno cinquant’anni sottolineano già due fatti considerevoli: innanzitutto il carattere universale e universalizzante del fenomeno scientifico (B. Russel) e poi il suo carattere costrittivo che sovverte l’esperienza pratica dell’uomo che pensa ingenuamente di guidare la sua scelta e la propria esistenza. Deriva infine da queste due notazioni che se l’autentica decisione politica non può più esistere nel quadro di una società organizzata secondo regole e postulati scientifici, qualsiasi idea di etica viene revocata in un solo colpo.
Due secoli fa la scienza appariva un fattore d’emancipazione contro l’oscurantismo (gli Enciclopedisti, l’Aufklärung, Condorcet ecc…). Oggi la scienza si presenta come processo di alienazione sociale collettivo, che annienta le funzioni primitive della soggettività e distrugge i fondamenti del legame sociale.

Da allora la questione è sapere: secondo quali modalità la scienza interviene nella nostra cultura e quali ne sono gli effetti osservabili nella nostra clinica? In altri termini, le affermazioni tautologiche proferite dagli autori citati e che si ritrovano regolarmente in altri successivamente, detengono un fondo di verità? E in questo caso come dobbiamo descriverle a partire dalla nostra clinica quotidiana?

Non possiamo entrare in questo dibattito e ricavarne qualche insegnamento se non accettiamo di riconoscere che la scienza in quanto tale, e soprattutto in quanto pratica, si è profondamente modificata da un secolo a questa parte. Da procedura di ricerca e di scoperta essa si è progressivamente trasformata in ricerca di applicazioni tecnologiche. I laboratori di pura ricerca fondamentale si fanno via via più rari a detta dei ricercatori stessi. Le nostre società e il discorso che veicola la nostra cultura sono interessati solo dalla tecnoscienza, vale a dire le applicazioni tecnologiche suscettibili di migliorare ancora il nostro benessere (cfr. il nostro libro Insatisfaction dans le lien social, Ed. Erès 2005).

Lacan ha tenuto conto di questa mutazione nel campo della scienza sia nel suo progetto della psicoanalisi come scienza sia nell’abbandono successivo di questa prospettiva. Infatti non è solo il caso di riconoscere l’impossibilità della psicoanalisi come scienza ma di prendere in conto la mutazione stessa della scienza in tecnoscienza.

Lacan ha parlato molte volte del discorso della scienza per affermare in seguito che la scienza non è un discorso ma una scrittura, da cui la sua analogia con l’inconscio come scrittura. Tuttavia se torniamo alla nostra cultura siamo messi a confronto proprio con un discorso sociale tecnoscientifico. Questo discorso trae la sua importanza e la sua virulenza dal fatto che interviene direttamente al livello del nostro corpo e del suo godimento. Godimento Altro che Lacan ha situato nel nodo borromeo all’intersezione del Reale e dell’Immaginario: godimento del corpo e della vita, che è fuori linguaggio. A cui oggi conviene aggiungere: comfort, benessere che porta a una cultura dell’edonismo, e – punto essenziale da sottolineare a causa delle sue conseguenze – un’esistenza possibilmente liberata dalla guerra e dai conflitti fallici perché liberata dall’eredità della funzione del Padre.

Tra le conseguenze del discorso della tecnoscienza che hanno un’incidenza diretta sul godimento del corpo, citiamo alcune tecniche della medicina: la procreazione medicalmente assistita, la diagnostica preimpianto che permette la scelta e la selezione dei patrimoni genetici (cfr. la minaccia di eugenismo), la possibilità di cambiare sesso (transessualismo), la procreazione per le coppie omosessuali. La medicina stessa subisce una mutazione nella sua pratica nel senso che il suo campo tradizionale era la malattia (quindi la patologia e la terapeutica), ora vede la sua missione estesa alla salute in generale; vale a dire che anche qui il suo intervento non riguarda solo la guarigione ma in eguale misura il comfort e il benessere. Il controllo delle nascite ha modificato profondamente la relazione soggettiva delle donne con la maternità e con il lavoro, il loro posto, il loro ruolo sociale ne risulta sovvertito finanche nella relazione con l’uomo e la famiglia ecc… non c’è un solo settore dell’esistenza moderna che non sia intaccato dalla tecnoscienza.

In che cosa la tecnoscienza, a differenza della scienza, può essere considerata come un discorso? Se l’agente di questo discorso non è immediatamente identificabile, in compenso a livello della soggettività individuale possiamo osservare che il godimento o il plus-godimento è organizzato a partire dalla pullulazione di oggetti paramimici dell’oggetto piccolo a, inventati dal genio industrioso della nostra modernità (per esempio l’oggetto orale come pulsione di consumo, l’oggetto anale nella pulsione speculativa, l’oggetto sguardo suscitato dai media visivi ecc…). Forse questo discorso dovrebbe essere assimilato a quello formalizzato da Lacan come discorso del capitalismo. Tuttavia a questo proposito va introdotta una piccola restrizione: il capitalismo è sempre esistito (cfr. i lavori di F. Braudel) ma la scientifizzazione avvenuta nel corso del XIX secolo gli ha fatto subire una profonda metamorfosi e anch’esso è diventato a sua volta tecnoscientifico.

Certamente la nostra clinica ci rivela una particolarità notevole, quella del tipo di sapere in gioco e quella della relazione del soggetto con questo sapere. Alla razionalità intuitiva (preconizzata dall’Aufklärung sempre abitata dal fantasma) il discorso tecnoscientifico sostituisce una razionalità dettata dal prodotto della scrittura della scienza. L’esempio più sorprendente è la sfera dell’economia invasa da formule matematiche che i responsabili riescono difficilmente a tradurre in decisioni e la cui pertinenza è controllabile solo alla luce dei risultati a lungo termine (vedi a questo proposito la sperimentazione fatta dai “Chicago-boys” sull’economia cilena devastata da ciò!).
La ragione cosiddetta scientifica trae i suoi principi al di fuori dell’esperienza soggettiva e mira a costituire dei saperi di esperti che sono profondamente estranei all’esperienza umana, devono solo essere applicati ciecamente essendo la loro sola garanzia quella di essere scientificamente fondati. Questi saperi di esperti sono accessibili su Internet o nelle librerie: le giovani madri preoccupate di far bene hanno cura di lasciarsi guidare da questi testi. Così il bambino non è più educato a dei fini di socialità ma allevato secondo norme scientifiche a carattere prudenziale (la sua alimentazione, i suoi apprendimenti, la sua formazione, il suo divenire sono tracciati secondo queste norme).
Non si gusta più insieme un piatto ben preparato, si consumano delle proteine, dei lipidi, dei glucidi, delle vitamine, degli omèga 3. Non si parla più, si sorveglia il contenuto del proprio piatto. Non si discute più, ci si comunica della informazioni, degli avvenimenti, dei fatti reali; molto rapidamente si diventa dei superdotati di saperi specialistici e altrettanto rapidamente gli adulti appaiono come dei vaticinatori etico-politici ignoranti.

Nel discorso tecnoscientifico la relazione all’Altro è abolita, la beanza e la contingenza che gli sono legate sono bandite, così come è esclusa la dimensione del transfert tanto nel seno della famiglia, che è solo un’assemblea di prestatori di servizi specifici, che nell’insegnamento, dove si tratta solo di trasmettere questa expertise per dei fini pragmatici. La pedagogia moderna nella sua concezione di trasmissione dei saperi non ha d’altra parte altro obiettivo che quello di evitare le nocività alienanti del transfert. L’ostacolo di soggettività costruite in questo modo può rivelarsi considerevole e non è eccezionale incontrare nella nostra pratica pazienti convinti che la psicanalisi è anch’essa un sapere di esperto. In taluni casi la conversione può rivelarsi delicata da realizzare. Ma qui si constata che la “resistenza” all’analisi non è l’affare di un soggetto e neanche di una qualche impresa di denigrazione spesso mediatizzata, ma piuttosto il misfatto di una cultura e di un discorso designato come tecnoscientifico. La situazione è solo più difficile perché sfugge all’intenzione del paziente.

L’ultima notazione deve essere consacrata alla sorte della funzione simbolica. Se alcuni osservatori sottolineano oggi che le grandi istituzioni sociali (scuola, esercito, Stato, progetti politici e anche Chiesa, matrimonio, famiglia) perdono il loro accento di primato, la ragione sta nel fatto che il discorso dell’Altro ha perduto anch’esso il suo valore e la sua significazione. Dalla descrizione presentata adesso deriva che dovendo l’argomento d’autorità obbligatoriamente essere fondato da un sapere specialistico e non trovare legittimità che grazie a questo ricorso, nello stesso tempo l’Altro e il suo desiderio sono in situazione di de-supposizione (cfr. l’antica funzione del soggetto supposto al sapere). Beninteso, sullo sfondo è implicato l’interdetto dell’incesto che permetteva di dare alla mancanza del soggetto un Nome e grazie al Nome della mancanza di fondare il desiderio. Ma questo non può aver luogo che nella misura in cui il Padre resta situato come referente terzo, esterno cioè straniero (cfr. la graziosa formula di Lacan: la funzione del Nome-del Padre è più che compatibile con la sua assenza) cioè nella capacità di operare da un posto simbolico. Ed è per questo che la nevrosi deve tenerlo per morto. All’inverso, fondare il Padre sull’argomento scientifico si riduce a invocare un Padre Reale di tipo schreberiano. Ultima notazione: la tecnoscienza, permettendo l’esame del patrimonio genetico, autorizza ad affermare che il padre è davvero Reale. “madre certa e padre certo” ecco infine la più bella sutura di un Reale.

Luglio 2005

Posted by Alessandro Bertoloni at 26.06.05 14:41
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